Un uomo contro
Poeta, prosatore, editorialista, drammaturgo, sceneggiatore e regista, Pier Paolo Pasolini è tutto questo e nulla di questo: è stato osannato e denigrato (non ultima la critica del regista Gabriele Muccino), “cancellato” perché scomodo e portato nell’empireo (riabilitato ogni 2 novembre).
Alla perenne ricerca di un mezzo per esprimere la realtà, decise di mettersi dietro la macchina da presa – oramai la letteratura era logorata, avendo esaurito “le parole” per narrare il quotidiano − nonostante a lui fosse estranea la grammatica della settima arte, analogia e metafora per raccontare qualcosa d’altro (il Corvo di Uccellacci e uccellini). Pasolini usava l’occhio cinematografico come la penna − mancando della grammatica del mezzo ma acquisendo in verità − e le inquadrature come la metrica, filtrando ogni cosa con la sua cultura (in La ricotta ripropone coloristicamente e visivamente Pontormo e Rosso Fiorentino, adatta per il grande schermo Il Decameron, Medea e Edipo re, espressioni di nostalgia mitologica), con la sua indole scandalosa e provocatoria. La sua personalità è complessa tanto quanto le sue opere: spesso reazionario e legato al mondo contadino, uno dei temi più importanti della sua produzione, ma anche narratore del nuovo, comunista ma non ateo (la tematica religiosa gli fa girare film laceranti e dolorosi, terreni e umani, come Il Vangelo secondo Matteo), oratore del liberismo sessuale e di un piacere al limite (Salò o le 120 giornate di Sodoma). Il suo è un cinema di poesia (i primi piani, i gesti, i volti che non hanno bisogno di parole), ma anche di prosa (morte, crisi sociale, culturale ed economica, povertà, emarginazione), lingua scritta in azione. È in grado di cogliere le immagini più significative (quelle che definisce “im-segni”) della realtà e usarle per scrivere saggi sociologici (Comizi d’amore, che in tempi non totalmente maturi affronta il tema della sessualità, o l’ideologico La rabbia che sviscera e contrappone il marxismo di Pasolini al conservatorismo di Guareschi). L’autore imprime sulla pellicola la borgata (Accattone, Mamma Roma), la campagna, gli ultimi, così come l’insofferenza verso il mondo borghese con ipocrisie, prevaricazioni e vuoto culturale. Poveri cristi in balia della vita, sulla croce uomini di stracci morenti per indigestione, donne stropicciate al servizio di uomini smaliziati. Ragazzi di vita, pieni di rabbia, dolore, violenza e meschinità, raccolti da uno sguardo non moralistico. Pasolini abbraccia frammenti di esistenze al limite, picchia e coccola accattoni e madri, accarezza padri e figli, sorpresi in un paradossale cammino senza partenza né meta (Uccellacci e uccellini). Con i suoi film come con i suoi scritti è sempre stato divisivo, “contro” al sistema, conoscitore del momento storico che stava vivendo, analista critico delle sue debolezze. Possiamo anche essergli contro, ma riconosciamogli la capacità di raccontare.