53. Viennale – Vienna International Film Festival, 22 ottobre – 5 novembre 2015, Vienna
Vero, come la finzione
Quando la realtà supera di slancio la fantasia: la giovane regista Crystal Moselle incontra i 6 fratelli Angulo nel 2010, mentre cammina nella First Avenue di Manhattan. L’allora studentessa della School of Visual Arts la definisce “pura serendipity”, perché nel momento in cui vede quel gruppo di ragazzi muoversi come un branco, perfettamente abbigliato in stile Le iene di Tarantino (completo nero, camicia bianca e occhiale Ray-Ban), non può fare a meno di seguirli.
Scoprirà un mondo, anzi “il” mondo di una famiglia segregata per 14 anni in un appartamento, governata da un padre che aspira alla divinità e che non permette né alla moglie Susanne né alla numerosa prole – 7 figli in tutto, battezzati con nomi attinenti alla fede Hare Krishna: Mukunda, Narayana, Govinda, Bhagavan, Krisna, Jagadesh e Visnu – di venire corrotti dalla società e dalle sue storture. La nostra mente corre veloce da un lato alla terribile vicenda del cosiddetto “mostro di Amstetten”, e dall’altro alla disturbante trama di Dogtooth di Yorgos Lanthimos. In entrambi i casi però rischiamo di non centrare il cuore di The Wolfpack, vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance 2015. Quando Crystal Moselle mette piede all’interno della magione Angulo assiste in diretta alla definitiva ribellione, al punto di non ritorno che ridimensiona la bislacca figura del capofamiglia Oscar. Non siamo di fronte ad un documentario di denuncia o d’inchiesta, la telecamera filma anzi l’inarrestabile presa di coscienza del clan nel momento in cui si scrolla di dosso l’isolamento e si apre all’esterno, immediatamente successiva al gesto rivoluzionario di Mukunda che semplicemente una mattina si sveglia ed esce a fare una passeggiata. Imbevuti di amore per il cinema (l’unica arte concessa e fornita dal medesimo Oscar, che “dona” ai figli una videoteca di oltre 5 mila titoli), i fratelli paragonano qualunque cosa li riguardi a Pulp Fiction, al Cavaliere oscuro di Nolan, ad Halloween di Carpenter, rimettendo in scena minuziosamente intere sceneggiature corredate da costumi artigianali ma credibilissimi che farebbero invidia a Michel Gondry. Nella loro passione risiede uno dei fulcri narrativi di The Wolfpack, il paradosso per cui degli esseri umani avulsi dalla cultura contemporanea siano diventati dei simulacri post-moderni, degli individui spaventati dal sole e dalle onde del mare ma perfettamente a loro agio con il linguaggio mediale introiettato dalla società. Nonostante l’abilità di regia di Moselle e di montaggio di Enat Sidi, l’incredibile vicenda è destinata a restare in sospeso, appena scalfita malgrado i 4 anni di girato, approssimata come il contenuto di questa recensione redatta “a caldo”. Ma forse la soluzione migliore del mistero è che resti irrisolto, perché la storia degli Angulo Bros. è ancora tutta da scrivere.
The Wolfpack [Id., USA 2015] REGIA Crystal Moselle.
SOGGETTO Crystal Moselle. MONTAGGIO Enat Sidi. MUSICHE Danny Bensi, Saunder Jurriaans, Aska Matsumiya.
Documentario, durata 89 minuti.