SPECIALE PETER BOGDANOVICH
Classicismo ‘70
Uscito nel 1973, Paper Moon di Peter Bogdanovich rientra in qualche modo in due filoni piuttosto in voga all’epoca: quello più “giovanile” del road movie (l’opera si svolge tra strade e motel) e quello più tradizionale e mainstream della rievocazione degli anni ‘20/’30, che ha raggiunto uno dei suoi apici commerciali con La stangata (1973).
Paper Moon è dunque un film pienamente anni ’70, anche se in realtà il suo punto di riferimento si trova nel cinema classico, non solo e non tanto perché Bogdanovich – uno degli autori più cinefili della New Hollywood – omaggia indirettamente i drammi e le commedie “sociali” anni ’30, ma anche e soprattutto per le scelte formali adottate. Qui, proprio come nella Hollywood degli anni d’oro, non vi è un solo elemento slegato dalla narrazione e non vi è alcuna scelta che abbia un significato del tutto indipendente dallo svolgimento del racconto. Questo a cominciare da una regia volutamente sottesa e invisibile che non rinuncia però a una certa ricerca visiva (da notare l’ottima la fotografia in b/n) e da uno script ricco di dialoghi e idee sempre mirate a narrare con ritmo la vicenda, incentrata sul peregrinare per il Kansas di Addie, un’orfana che deve andare dalla zia, e di Moses, un imbroglione che vende Bibbie falsamente preziose ad alcune vedove. E se la forma risulta classica, l’approccio del regista e dello sceneggiatore è al tempo stesso molto antico e molto moderno, in quanto privo di moralismi e sentimentalismi. Infatti, l’orfana (interpretata da un’intensa Tatum O’Neal) è l’esatto opposto delle bambine zuccherose di Shirley Temple: non solo non esprime e non trasmette tenerezza o compassione, ma si rivela persino più astuta, se non più cinica, di Moses stesso. E anche il rapporto tra i due è particolare: Moses e Addie sono come padre e figlia, ma i loro valori non si fondano su “ordine” e “rispetto” come nelle famiglie più conservatrici e tradizionali, ma piuttosto su uno spirito quasi piratesco di avventura e, inoltre, esprimono il reciproco affetto tramite bisticci e battibecchi, invece che con gesti amorevoli. Dunque, quello di Bogdanovich è uno sguardo anarchico e disincantato, moderno perché tipico degli anni ’70, ma contemporaneamente antico, poiché rimanda a quell’approccio irriverente che Hollywood aveva nei primi anni ‘30, quando ancora non veniva applicato il codice Hays. Così, Paper Moon è un film che s’inserisce al tempo stesso nella New Hollywood e nel classicismo, ma in quel particolare classicismo più “vecchio” cronologicamente ma più “contemporaneo” nello spirito: quello libero pre-codice Hays.
Paper Moon – Luna di carta [Paper Moon, USA 1973] REGIA Peter Bogdanovich.
CAST Ryan O’Neal, Tatum O’Neal, Madeline Kahn, John Hillerman, P.J. Johnson.
SCENEGGIATURA Alvin Sargent (tratta dal romanzo Addie Pray di Joe David Brown). FOTOGRAFIA László Kovács. MUSICHE Richard Portman, Les Fresholtz.
Commedia, durata 102 minuti.