C’era una volta il giornalismo d’inchiesta. Chi non ricorda I giardini di Abele, girato da Sergio Zavoli a Gorizia negli anni della rivoluzione di Franco Basaglia? Che quella RAI non esista più è innegabile e non è questo lo spazio per elucubrare sui motivi del declino: direttori generali incompetenti, ingerenza dei partiti, scarso ricambio generazionale e conseguente arretratezza dell’offerta spiegano solo una parte del problema.
Già Renzo Arbore, in quel geniale osservatorio che fu Indietro tutta, denunciava i tic della “televisione che fate voi”, balsamo ipocrita per sceneggiatori senza idee. Oggi, cambiati gli strumenti, molti sono ancora fermi a quella filosofia, tanto da reputare innovativa la logora sezione “dedicata ai social”; non c’è trasmissione che non butti una parte del proprio tempo nell’analisi di tweet, commenti su Facebook e immancabili video di YouTube. È passata l’idea che gridare “vergogna” da uno sgranato collegamento Skype sia un modo per avvicinarsi ai cittadini: peccato che, terminati i due minuti di sfogo, i problemi rimangano intatti. Compito del giornalista è invece “accelerare dei processi di cambiamento”, come ha più volte affermato Gianluigi Nuzzi: non è un caso che, nella stagione 2011-2013 (il triennio più drammatico della storia italiana dopo Tangentopoli: scandali criminali e sessuali, caduta di Berlusconi, ascesa di Monti e di Letta, abdicazione di Ratzinger ed elezione di Bergoglio), i migliori programmi d’inchiesta italiani siano stati realizzati proprio da Nuzzi su La7. Cambiata la dirigenza, l’emittente ha preferito puntare su una fiumana di talk mattutini (ne parla Juri Saitta qui) e serali: una scelta legittima da parte di un editore privato, ma forse poco lungimirante. Il testimone è quindi tornato alla RAI, che con Report e Presadiretta continua una tradizione nobile; Mediaset non pervenuta da anni, se escludiamo Terra affidata a grandi cronisti di vecchia scuola come Toni Capuozzo e Sandro Provvisionato.
Se però vogliamo trovare qualcosa di realmente innovativo in termini di linguaggio – il vero oggetto di questo portale – non possiamo che guardare a Gli speciali di Rai Tre. Uno, in particolare, si è imposto nell’ultimo anno come un autentico capolavoro: Ilaria Alpi – L’ultimo viaggio. Sull’assassinio a Mogadiscio dell’inviata RAI e del suo cameramen Miran Hrovatin sono state realizzate varie trasmissioni, ma ciò che ha creato il regista Claudio Canepari, assieme alla scrittura di Mariano Cirino, Massimo Fiocchi e Lisa Iotti, non ha paragoni. Sceneggiato magistralmente, montato a ritmo sostenuto ma senza venir meno alla chiarezza necessaria per esporre il complesso lavoro investigativo, questa docu-fiction che emoziona, turba e sconcerta più di un film sfonda i confini dei generi e apre una nuova via per il giornalismo d’inchiesta. Con la speranza che non rimanga imbattuta.