SPECIALE ANIMAZIONE NASCOSTA
La logica delle cose semplici
In un paesino in mezzo alla campagna e alle collinette, tutti gli abitanti si chiamano non per chi sono ma per quello che sono. Il postino si chiama Postino, il poliziotto Poliziotto, cowboy Cowboy, indiano Indiano e cavallo Cavallo. Ora vi starete domandando che ci fanno un cavallo (ovviamente parlante), un cowboy e un indiano assieme dentro una casetta nel villaggio in mezzo alla campagna e alle collinette, beh i tre protagonisti di Panico al villaggio sono proprio loro, tre amiconi un po’ scemi finiti in mezzo a un’avventura quasi per caso per colpa della loro scempiaggine.
È la logica delle cose semplici quel che regge la pellicola di Stéphane Aubier e Vincent Patar, la vera particolarità non è tanto il fatto di esser realizzato con soldatini in plastilina, ma la mentalità che regna il mondo di Panico al villaggio. Tutto è come appare sulla sua superficie, gli imprevisti non riservano mai un lato complicato come nel mondo reale. Prendiamo l’ordinazione di mattoni fatta da Cowboy e Indiamo per costruire un barbecue a Cavallo, il sito internet che registra la prenotazione chiede nome e quantità, stop. E se la quantità richiesta è cinquanta milioni di pezzi invece che solo cinquanta, il problema non si pone, se non per chi deve ricevere il materiale e non sa dove metterlo. I nomi stessi dei personaggi altro non fanno che rispondere a questa logica, una semplicità intrinseca nel mondo rappresentato che non pone questioni sulle diverse identità, come allo stesso modo la più ovvia concatenazione causa-effetto. Di per sé Panico al villaggio fin dall’inizio intende spezzare la nostra consapevolezza dei nessi logici, attraverso la convivenza tra un cowboy, un indiano e un cavallo, tre generi iconograficamente antagonisti gli uni con gli altri, e mai chiarita in tutto l’arco del racconto, se non tramite un rapporto di amicizia. È questa l’ironia di cui si fa carico la pellicola, superficialmente banale, ma che al contrario leva una serie d’interrogativi razionali che automaticamente ci si pone, spezzando una serie di nessi dati per scontati. Una logica che chiaramente ha origini antiche, dalla fiaba per intenderci, ma che rimandano sempre al nostro modo d’intendere i rapporti. Nella sua logica delle cose semplici, il mondo più che materialmente di plastilina di Panico al villaggio ci appare finto e curioso, allo stesso tempo nel quale sussiste non solo una sospensione dalla realtà, ma anche la problematizzazione della stessa. E questo forse è il punto più alto a cui può giungere un film d’animazione.
Panico al villaggio [Panique au village, Francia 2010] REGIA Stéphane Aubier, Vincent Patar.
CAST Stéphane Aubier, Jeanne Balibar, Nicolas Buysse, Veronique Dumont.
SCENEGGIATURA Stéphane Aubier, Vincent Patar. FOTOGRAFIA Jan Vandenbussche. MUSICHE Dionysos.
Animazione, durata 75 minuti.