SPECIALE PIANETA ROSSO
“L’universo non è caos, è coesione”
Lontano anni luce dalle solitudini cosmiche dell’intimista Moon (2009) e dai recenti garbugli spazio-dimensionali di Interstellar (2014), l’approccio fantascientifico di De Palma è un riuscito e sinergico assemblaggio di tecnica, racconto e stile.
Terra. 2020. Fervono i preparativi per la partenza dei primi tre astronauti che calpesteranno il suolo marziano. Durante la missione – seguita a distanza dai colleghi Woody (Tim Robbins) e Jim (Gary Sinise) − una tempesta di sabbia risvegliatasi all’improvviso da una montagna uccide due dei colleghi di Luke (Don Cheadle), unico sopravvissuto alla tragedia. Una squadra di recupero guidata da Jim, Phil, Woody e sua moglie Terri (Connie Nielsen) cercherà di riportarlo a casa. Le conseguenze del pericoloso viaggio, dopo la scoperta di un enorme manufatto alieno, condurranno gli esploratori lungo un itinerario all’origine del significato della vita. Nel variegato cinema-catalogo depalmiano non potevano certo mancare carrellate di macchina nello spazio profondo (realizzate con il nuovo braccio telescopico Supertechnocrane) e persuasive cartoline dal “red planet”. In Mission to Mars, contrariamente al coevo Pianeta rosso di Antony Hoffman con Val Kilmer, convivono in stretta sinergia artificio tecnico e invenzione narrativa. Nelle sontuose opere di Brian de Palma è il virtuosismo stesso che si fa evidenza estetica – materia pulsante – di immagini ossessive e magnetiche, esprimendosi anche quando l’ambiente è quello alieno della valle di Cydonia e il tempo è il futuribile 2020. Vi sono però dei modelli da cui partire, rintracciabili ad esempio nell’epopea acquatica di James Cameron – Abyss – nella misura in cui il viaggio verso altri mondi si sposa al misticismo new age o alla ripresa di un distillato della poetica spielberghiana, vicinanza questa sottolineata dalle partiture sinfoniche di Morricone che dell’odissea aliena mettono in luce il tono solenne. Ma se da una parte l’esperimento fantascientifico di Mission to Mars appare strettamente vincolato a un immaginario ben definito, dall’altra sfrutta delle soluzioni visive paradossali che non passano inosservate. Prima fra tutte, l’idea di “contrastare” il realismo del pianeta rosso (parzialmente ricostruito a Vancouver) con l’effetto (poco) speciale di uno starchild animato, versione benevola dei temibili ingegneri bianchi e muscolosi di Prometheus. Pur tra qualche caduta in certa speculazione filosofica spicciola e in un ostentato superomismo patriottico, De Palma sceglie la via del “raggiro” colto, attraverso esercizi formali ipnotici e prodigiosi in assenza di gravità. Non che non si prenda sul serio, ma lo fa con la classe di chi sa manipolare storie e immagini a suo piacimento da lunghi anni a questa parte.
Mission to Mars [id., USA 2000] REGIA Brian De Palma.
CAST Tim Robbins, Gary Sinise, Don Cheadle, Connie Nielsen, Jerry O’Connell.
SCENEGGIATURA John Thomas, Graham Yost, Jim Thomas. FOTOGRAFIA Stephen H, Burum. MUSICHE David Lee Roth, Ennio Morricone.
Fantascienza, durata 114 minuti.