Trascendere le soglie
“Dedicato a chi non trova la luce ma continua a cercarla; a chi scalpita e freme e non è mai sazio; a chi lo fa sinceramente/ Dedicato a chi cerca di tenere alto lo sguardo; a chi rischia di morire ma conserva la speranza; a chi sta per varcare la pericolosa soglia del limite.”
La città dei morti, mediometraggio in bianco e nero di Pierluigi De Rubertis, è un film liminale. Nel senso filosofico e fisiologico del termine, di evento al limite della coscienza, nel delicato interstizio tra due diversi stati dell’essere. Un uomo e una donna si muovono soli, sullo sfondo di una città impassibile, eppure mutevole, sospesa, come in attesa di qualcosa. Come in una danza asincrona, nella reciproca tensione che li attrae, muovono passi su geometrie di pietre, figure esili e nere stagliate contro architetture immobili e bagnate di luce. È una dialettica tra poli simmetrici, di luce e ombra, di stasi e movimento, di morte e vita. La dualità che coabita nell’Uno, in cui è possibile guardarsi e non vedersi, coesistere ed esser soli, appartenere inesorabilmente al di qua e al di là della soglia. Come se le categorie del vivere – e del morire – non fossero che il frutto di una logica arbitraria. Ma parziale, rovesciabile, riflessa. “La città dei morti” è il mondo visto dall’altra parte, l’aldilà dello specchio, l’altra faccia del sentire. De Rubertis ne trae un’opera che fonde musica, poesia e teatro e le sublima attraverso il cinema. Alla costruzione dell’inquadratura come sguardo non tanto affacciato su un mondo diverso, piuttosto da un punto di vista “altro”, sposa le sonorità delle musiche originali e un crescendo di sussurri che si articola ora in preghiera, ora in elegia d’amore. Il rapporto tra i due protagonisti è di perdita e ricerca al contempo e si esprime attraverso le forme scultoree di un amplesso che è sacro e sensuale, talamo e catafalco, fatto di statue roride e corpi prosciugati. Nella città dei morti il limite è un ingresso. Ma su una dimensione con un nuovo ordine estetico. L’aspetto più impressionante, in questo senso, è il lavoro del regista sulla luce, che sembra rendere velluto il marmo e marmo la pelle, stravolgere le consistenze e ribaltare le percezioni. Una sensorialità sinestetica di freddo bruciante, di immaterialità palpabile, di serica ruvidità. In questo inedito stato della coscienza, i due amanti vagano sospinti da simmetriche epifanìe. La vita è sogno, come la morte. “Dedicato a chi è afflitto da molti mali; a chi chiede di essere salvato; a chi crede che sia troppo tardi./Dedicato a te, fratello dai molti modi, che non conosco e sento vicino./ Dedicato al silenzio fecondo dei morti. A questa città che si dibatte ma non trova la luce. Dedicato a Milano.”
La città dei morti [Italia 2015] REGIA Pierluigi De Rubertis.
CAST Gianluca De Rubertis, Chiara Meli.
SCENEGGIATURA Pier Luigi De Rubertis. FOTOGRAFIA Pier Luigi De Rubertis. MUSICHE Pier Luigi De Rubertis, Gianluca De Rubertis.
Sperimentale, durata 31 minuti.