La mediocrità della media
Due gruppi di scalatori affrontano insieme l’impresa di una vita: toccare la cima del monte Everest. Un caleidoscopio di personaggi molto variegati si riuniscono per la scalata ognuno con motivazioni differenti: intrecciando le loro vite passate al presente che li vede partecipare ad una convivenza forzata, ognuno di loro affronta le difficoltà fisiche in maniera diversa.
Il racconto di questa impresa al limite della sopravvivenza assume nel film di Kormàkur le forme di un racconto epico, in cui la costruzione architettonica offusca il portato riflessivo, sia per quanto riguarda il lato umano che quello commerciale. La questione emotiva, infatti, è trattata in maniera enfatica, fin troppo ridondante, tanto da risultare irrealistica e teatrale, molto lontana dunque dal progetto di verosimiglianza che introduce Everest. La critica che, presumibilmente, striscia lungo la durata del film nei confronti di alcune iniziative commerciali o, in generale, nei confronti della mancanza di comunicazione tra gruppi e individui, non arriva a un vero e proprio compimento, rimanendo fino alla fine solo una supposizione. La comunicazione tra individui, in una tale rappresentazione, dovrebbe rendere l’idea sia del meltin’ pot culturale che di fatto queste situazioni rappresentano, sia di un confronto culturale che permette crescita personale e arricchimento reciproco. Tutti questi elementi del film vengono composti in maniera tale da essere ben evidenti e quasi di intralcio al fluido scorrimento delle immagini, come se la perfezione visiva e l’armonia narrativa giocassero allo stesso momento un ruolo centrale e disturbante nello sviluppo del film. Everest è stato promosso in primo luogo con l’apertura del 72° Festival di Venezia e questo ha sicuramente aumentato il carico di aspettative che lo spettatore porta in sala. Di fatto, però, il risultato non si discosta dalla tendenza media di questa tipologia di rappresentazione cinematografica, in cui l’epos del soggetto si fa carico di tutto senza essere realmente supportato da un mix di apparati funzionanti in modo simbiotico. Quasi ogni elemento, infatti, sussiste anche avulso dal contesto filmico, ma il dialogo tra di essi non realizza la cooperazione, un po’ come succede tra le basi sistemate lungo il versante dell’Everest rappresentate nel film. La molta voglia di mostrare la propria credibilità ha finito con il nascondere il contenuto stesso preso in consegna da regista e colleghi, inserendo Everest nella lista di film dimenticabili che la produzione di massa cinematografica distribuisce al cinema ogni anno.
Everest [id., USA/Gran Bretagna/Islanda 2015] REGIA Baltasar Kormàkur.
CAST Jason Clarke, Jake Gyllenhall, Josh Brolin, Keira Knightley, Sam Worthington.
SCENEGGIATURA Simon Beaufoy, William Nicholson, Tim Bevan, Eric Fellner, Baltasar Kormàkur. FOTOGRAFIA Salvatore Totino. MUSICHE Dario Marianelli.
Drammatico, durata 121 minuti.