La ragazza dietro all’icona
Amy Winehouse è presentata, forse per la prima volta, al grande pubblico come una ragazza, ancor prima che come una talentuosa cantante problematica e poliedrica: questo è in fondo l’obiettivo di Asif Kapadia, che cerca con semplicità e rispetto di andare oltre le costruzioni mediatiche di cui Amy è stata in molti sensi vittima.
Asif Kapadia conferma con il documentario Amy – The Girl Behind the Name la sua capacità di affrontare tematiche e personaggi molto complicati, troppo spesso celati loro malgrado dal mito che li precede, positivo o negativo che sia. Era il caso di Ayrton Senna, le cui gesta venivano ripercorse dal regista nell’omonimo documentario, il quale senza dubbio trovava uno dei suoi elementi più forti in una sostanziale sospensione del giudizio. La stessa cosa si ritrova anche in Amy, in cui si nota lo sforzo ineluttabile di presentare i fatti, che non lascerebbero scampo a quelle stesse giustificazioni e relativizzazioni di cui ognuno di noi ha invece il privilegio di avvalersi. La dolcezza dello sguardo della macchina da presa che accarezza Amy e la sua famiglia spesso non appartiene alla maestria del regista, bensì all’intimità inimitabile racchiusa dai legami familiari, da cui emerge inevitabilmente la ragazza naturale nascosta dietro l’icona pop. Il problematico rapporto con se stessa e il mondo esterno che la giovane cantante ha subito nella sua esistenza emergono come una dialettica interiore, poco riscontrata nella diffusione mediatica che ha invece accompagnato come una condanna a morte gli alti e bassi della carriera della cantante. Kapadia si mantiene comunque lontano dal giudicare una fazione in favore dell’altra, dando quindi l’impressione di volere che siano i fatti a parlare e a reclamare una giustizia che forse non sussiste nemmeno. Tutto questo viene reso sul grande schermo dalla dolcezza non solo del padre della cantante che, con la sua collaborazione, ha permesso la realizzazione di questo documentario, ma anche del regista che, come ha già dimostrato di saper fare, gioca con il ritmo del film senza far pesare una durata comunque notevole. Basti pensare a The Warrior e a Senna per rendersi conto della costanza dei risultati che Kapadia è stato capace di creare. Il respiro lento e sapiente che accompagna le immagini per oltre due ore viene costellato di momenti molto interessanti e variegati che potrebbero dar vita a riflessioni, squisitamente cinematografiche, lunghe e articolate. Con la sua poesia a far da contorno ad immagini per molti versi autonome, Amy è anche, commercialmente parlando, il prototipo perfetto del film da Festival: in gran parte distribuito in varie manifestazioni nel mondo, anche la distribuzione nelle sale è stata affrontata con una strategia da evento, che conferisce indubbio risalto ad un film come questo.
Amy – The Girl Behind the Name [id., Gran Bretagna 2015] REGIA Asif Kapadia.
SOGGETTO Asif Kapadia. FOTOGRAFIA Matt Curtis. MUSICHE Amy Winehouse, Antonio Pinto.
Documentario, durata 128 minuti.