72a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, 2-12 settembre 2015, Lido di Venezia
SPECIALE VENEZIA 72
Viaggio al centro della Terra
Un paesaggio lunare, silenzioso e alieno, squassato dalle esplosioni. Il frastuono e l’oscurità, una terra tormentata e un’umanità laboriosa e al contempo inerme.
Behemoth inizia così, con alcune immagini abbacinanti e spietate, che non spiegano e non mediano, al contrario: la voce off cita Dante e la Divina Commedia, ridisegnandone i connotati alla luce di una nuova e diversa fine della civiltà. La nostra dannazione ora si chiama arroganza, e porta ad una paradossale ma sensatissima pena del contrappasso: siamo al tempo stesso vittime e carnefici, accumuliamo ricchezza favorendo la nostra stessa morte. È la conquista dell’inutile: i minatori mongoli, migranti del Sichuan, estraggono giorno e notte carbone, muovendosi abilmente in un mondo in sfacelo in cui nessuno parla ma tutti lavorano incessantemente. Ognuno sa cosa fare, ognuno accetta il proprio disumano sacrificio in un’ipnotica coazione a ripetere che devasta il volto e deforma le mani. Se la definizione più consona per inquadrare Behemoth (nome di un mostro/animale biblico che simboleggia la supremazia di Dio su tutte le creature) è quella di documentario, non si può fare a meno di constatare come il lavoro del regista Zhao Liang superi di slancio la semplice fisionomia della non finzionalità. Siamo di fronte ad un’operazione di decostruzione filmica, di giustapposizione di sequenze spezzate che provoca vertigine e smarrimento. Lo schermo si tinge di rosso, di grigio, di azzurro: tre ipotetici regni per segnare gli snodi di un’enorme catena industriale da cui sembra impossibile uscire. Al termine della notte, quando i rumori assordanti delle macchine terminano la loro danza, all’essere umano non resta che l’abbandono, la resa. Ed è in questa seconda parte che l’acuta riflessione di Zhao forse perde parte del suo mordente, paradossalmente proprio nel momento in cui decide di esplicitare il suo intento. Non tanto a causa delle didascalie finali, che ci informano dell’insensato sviluppo urbano cinese – le famigerate “città fantasma”, fitte di grattacieli residenziali disabitati – nel nome di un’idea distorta di progresso, quanto piuttosto nella visione coatta dei sopravvissuti attaccati ai respiratori e dei deceduti circondati dai cortei funebri. Così, se da un lato il messaggio degli operai e delle loro famiglie fagocitati dall’acciaio e dallo strazio dell’evoluzione meccanica arriva forte e ben chiaro, dall’altro si sfocia nella didattica, che smorza il portato poetico e “metafisico” che ne aveva costituito il cuore pulsante fino a quel momento. Nonostante ciò, non abbiamo dubbi: non dimenticheremo tanto facilmente l’inferno in cui per 90 minuti siamo stati scaraventati.
Behemoth [Beixi moshuo, Cina 2015] REGIA Zhao Liang.
SOGGETTO Zhao Liang. FOTOGRAFIA Zhao Liang. MONTAGGIO Fabrice Rouaud.
Documentario, durata 95 minuti.