72a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, 2-12 settembre 2015, Lido di Venezia
VENEZIA CLASSICI
Tra senso e purezza
Molto cambia tra l’originale novella verghiana e l’adattamento d’autore (Malerba, Moravia), ma Lattuada, che nei primi anni ’50 aveva raggiunto la sua piena capacità espressiva, seppe tradurre l’efficacia, l’incisività, l’economia della narrazione verista in immagini di precisa e concentrata intensità.
Il direttore della fotografia Aldo Tonti e il montatore Leo Cattozzo, figure cardine tra i tecnici che traghettarono il cinema italiano nel suo periodo d’oro, più che inquadrare-tagliare costruiscono aggettivi, subordinate: la descrizione non si separa mai dall’azione. È il potere del cinema di quegli anni. La Lupa è una donna con due occhi neri e magnetici, la sua sensualità ostentata e consapevole domina i pensieri più nascosti degli uomini del paese. Tutte le donne, brave custodi di famiglia, assidue in chiesa, umili lavoratrici, le sono contro, con quell’odio impulsivo che interseca l’invidia. Invidia che non può farsi manifesta, neppure quando la figlia della Lupa, Maricchia, viene scelta per il ruolo di Sant’Agata: la cerimonia richiede obbedienza e devozione. Ma è in questa scena corale, da kolossal dei poveri, che si definisce il film, in un grezzo e purissimo simbolismo. Nanni è un soldato venuto dal forte per la festa, tra la calca sudata e chiassosa c’è la Lupa, in alto, eterea, distaccata, c’è Maricchia. Nanni sale su una struttura della luminaria, per avvicinarsi a Maricchia-Sant’Agata, la guarda e tanto basta per subirne il fascino leggero e morale. È l’unico a porsi più in alto della folla, è l’unico che può guardare altezza e bassezza, purezza e vizio, da uguale distanza. La stessa dinamica tra alto e basso si ripropone all’interno della casa dove, dopo le nozze tra Nanni e Maricchia, il letto matrimoniale è al piano superiore, quello della Lupa al piano terra. Tra questi due poli attrattivi è alternata la vicenda di Nanni e tra questi stessi poli si altalenano modi e costumi dell’Italia del primo dopoguerra combattuta tra una onesta tradizione permeata di cattolicesimo e la fiorente società dei consumi coi suoi nuovi stili di vita. L’incendio finale in cui la Lupa si lascia morire è un’evidente espiazione collettiva (in luogo dell’espiazione personale di Nanni nell’originale novella di Verga) in cui vengono puniti i peccatori e la fonte del peccato. La lupa si inserisce così in un filone di cinema che lavora su personaggi paesaggio e sensualità, un cinema erotico-sociale che ha i suoi antecedenti in alcune produzioni di Emilio Fernandez e di King Vidor (La fonte meravigliosa e Peccato del 1949) e in Italia trova spazio con Lattuada e col Matarazzo di La nave delle donne maledette (1954), che condivide con La lupa, oltre a molta parte di cast e tecnici, il tema di fondo e alcune soluzioni narrative, tanto da farne un film duale.
La lupa [Italia 1953] REGIA Alberto Lattuada.
CAST Kerima, Ettore Manni, May Britt, Giovanna Ralli.
SCENEGGIATURA Alberto Lattuada, Luigi Malerba, Alberto Moravia, Antonio Pietrangeli. FOTOGRAFIA Aldo Tonti. MUSICHE Felice Lattuada.
Drammatico, durata 93 minuti.