SPECIALE WES CRAVEN
Il racconto della paura
Il gorgo della paura. La bocca deformata in una smorfia di spavento. L’urlo di Craven. Quando hai un attacco di panico, molti ti dicono che devi lasciarti travolgere dal mostro per poterlo conoscere e governare; solo quando la marea ti sommergerà totalmente riuscirai veramente a respirare di nuovo.
Così Craven si è immerso nelle nostre paure, quelle più intime, esprimendo gli incubi più reconditi di una nazione, spiegandone anche le ragioni politiche. Il maestro del cinema horror ha creato alcune delle maschere più note e incisive del genere, quella di Scream, quella di Freddy Krueger di Nightmare. Nel 1977 realizza Le colline hanno gli occhi. Lo splatter, il racconto “fuori dalla norma”, della debolezza del corpo umano squartato e sventrato sono al centro e il sangue presente vuole smuovere le coscienze degli americani, per troppi anni rinchiusi in una rassicurante “negazione” della visione. L’orrore si infila dappertutto, ha radici profonde e Craven le racconta perfettamente: poco importa dove siamo, chi siamo, il cineasta conosce i codici del genere e li sa usare. Il deserto del Nevada – dove l’esercito degli Stati Uniti aveva sperimentato ogni tipo di radiazione –, due famiglie (una civilizzata, l’altra “cannibalica”) a confronto; la prima viene attaccata brutalmente dalla seconda, deforme, che vive tra le montagne, cibandosi di viaggiatori ignari. Il nulla a spaventare lo spettatore; Craven costruisce un horror figlio del suo tempo, che ha qualcosa del western, una sorta di “attacco alla diligenza” da parte dei “cattivi” – indiani post-moderni –, figli delle radiazioni degli anni ’50, sviscerando i corpi degli uomini e delle donne, mostrando sangue e budella. Un massacro incomprensibile, per ogni morto vengono meno le regole sociali e il cinema diventa analisi anche politica. I buoni e i cattivi sono mera etichetta, l’ordine pubblico si capovolge: chi è attaccato attacca e chi ha ucciso viene ucciso, chi era vittima diventa carnefice e quello che una volta era un uomo, ora vorace, è vile essere inerme. La brutalità dei gesti diventa danza macabra che monta di minuto in minuto e il regista pedina i seviziatori, come segue le vittime, siano le donne che vengono lasciate sole dal capofamiglia, sia il padre che fugge alla ricerca di un riparo. Le colline hanno gli occhi ha un inizio molto efficace che mostra la quiete prima della fatale tempesta, il quotidiano prima del “sovrumano”, l’umano prima del bestiale, Craven porta il suo pubblico nel turbine della paura e della violenza più irrazionale e agghiacciante. Il nemico è fuori da noi, Craven lo scova e lo mostra in tutta la sua indecenza. E noi non possiamo far altro che sentire già la mancanza del maestro dell’horror.
Le colline hanno gli occhi [The Hills Have Eyes, USA 1977] REGIA Wes Craven.
CAST Susan Lanier, Robert Houston, Martin Speer, Russ Grieve, Virgini Vincent.
SCENEGGIATURA Wes Craven. FOTOGRAFIA Eric Saarinen. MUSICHE Don Peake.
Horror, durata 89 minuti.