72a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, 2-12 settembre 2015, Lido di Venezia
IN CONCORSO
L’arte come salvezza e la storia come materia plastica
Il Louvre insolitamente vuoto, una nave che affronta le onde dell’oceano per trasportare opere d’arte, uno dei simboli più celebri della libertà che danza fra i quadri, quasi da intrusa, e un regista alle prese con un film sulla storia della Francia.
Suona bene il titolo Francofonia, come ha sottolineato lo stesso regista Alexsandr Sokurov, di ritorno al Lido dopo la vittoria del Leone d’oro nel 2011 con Faust. Una parola armonica, bella da pronunciare, un richiamo alla musica che lega la storia francese dalla Rivoluzione fino alla Seconda Guerra Mondiale, nel 1940 per la precisione, quando i tedeschi, dopo alcuni bombardamenti nelle banlieu parigine, decidono di invadere la capitale con l’idea di creare una “Stalingrado su fronte occidentale”. In questo particolare momento storico si piazza il cuore del film di Sokurov, ovvero l’incontro fra due uomini molto importanti per le rispettive nazioni, anche se per motivi diametralmente opposti: Jacques Jaujard, all’epoca direttore del Louvre, ed il conte nazista Franziskus Wolff-Metternich. Qui l’armonia precedentemente evocata lascia spazio ad una atonalità di supporti e formati, dalla camera-drone in altissima definizione che sorvola la città alla ricerca del museo all’immagine disturbata e low-fi dello stesso regista che cerca di collegarsi con un amico capitano, sperduto in mezzo all’oceano con una nave cargo. Difficile riconoscere in Francofonia lo stesso tocco, lo stesso occhio che ha dato forma ad Arca russa, per non parlare della “Quadrilogia del potere” (Moloch, Taurus, Il Sole, Faust) o dei film intimisti e drammatici come Madre e figlio; difficile anche ricondurre, come vorrebbe la critica al tempo dell’autore, quest’ultimo tassello alla complessità del mosaico che è il suo percorso artistico. Francofonia è un ibrido meta-cinematografico dentro cui Sokurov – regista, attore, vittima, salvatore – cerca di creare un continuo cortocircuito spaziotemporale, ad esempio con gli aerei tedeschi che sorvolano la Parigi di oggi, squilibrando la bilancia fra contenuto e forma nettamente a favore di quest’ultima. Non che questo sia, di per sé, un indizio negativo, essendosi questa pratica quasi istituzionalizzata soprattutto per i film indipendenti, ma se per Francofonia si vuole parlare di autorialità la si deve per forza collegare ad un cinema di matrice godardiana, nel quale l’immagine è continuamente plasmabile, dove la finzione è ostentata e mai nascosta fra le pieghe del montaggio, con attori che si muovono da teatranti esperti dentro la messa in scena, creando enorme contrasto fra ricostruzione e documento. Lontano da Arca russa, dal suo infinito piano sequenza, dall’Hermitage, la Francia che combatte, al pari della Russia, la guerra con l’arte, tentando in tutti i modi di salvare quest’ultima, è ripresa con sguardi nevrotici, con impennate improvvise, come se qualcosa sfuggisse all’occhio che ne vuole catturare l’essenza e, di conseguenza, anche a noi che di quell’occhio siamo spettatori impassibili.
Francofonia [id., Francia/Germania/Paesi Bassi 2015] REGIA Alexsandr Sokurov.
CAST Johanna Korthals Altes, Louis-Do de Lencquesaing, Vincent Nemeth.
SCENEGGIATURA Alexsandr Sokurov. FOTOGRAFIA Bruno Delbonnel.
Storico, durata 87 minuti.