SPECIALE CENT’ANNI DI INGRID BERGMAN
C’è polpettone e polpettone
È forse proprio nella splendida marcia finale de La locanda della sesta felicità, eseguita da una compostissima – nonostante le peripezie affrontate – folla di bambini che intona Nick Nack Paddy Whack, che si manifesta in tutta la sua straordinaria presenza quella che è stata senza ombra di dubbio una delle più singolari ed eleganti attrici dell’intera storia del cinema.
È lei, Ingrid Bergman/Gladys Aylward, stanca, provata, sfinita da quella stessa marcia, ma allo stesso tempo orgogliosa di aver portato a termine una incredibile impresa: aver salvato cento bambini da morte sicura. Qualcuno ha definito La locanda della sesta felicità un polpettone intriso di buoni sentimenti, considerandolo quindi da una prospettiva prettamente morale. Ma l’errore sta forse in questo tipo di approccio: la grandiosità di questo film non è nel film stesso, in quello che vuole insegnarci e raccontarci, ma bensì nella capacità di fare di una attrice l’unico e vero fulcro di ogni evento e situazione. Il personaggio interpretato dalla Bergman è infatti emotivamente multi sfaccettato: trasmette la fede nelle proprie convinzioni nello stesso istante in cui ci comunica la sua profonda debolezza; si pone con un atteggiamento trasognato ma contemporaneamente sicuro e impavido; impara e si lascia guidare tanto quanto riesce a condurre con mano ferma e a dimostrare grande saggezza. È come se il trascorso delle interpretazioni tardo-neorealiste e premoderniste avesse effettivamente lasciato sul corpo della Bergman – di nuovo “hollywoodiana” – una patina tutta europea di autoconsapevolezza. La sicurezza con la quale l’attrice svedese tiene in piedi una figura simbolica di madre/figlia/sorella ha una modernità – per l’epoca e per quel tipo di produzione cinematografica – a tratti incredibile. La sostanza del film di Robson è dunque, alla fine, nelle sue intenzioni moraleggianti e nella sua dimensione di dramma forse a tratti un po’ patetico, completamente annientata dalla presenza della Bergman, un’attrice che sa dimostrare la sua fermezza attraverso l’interpretazione di un ruolo che ne contiene tanti altri. Proprio come il colonnello Lin Nan dice al mandarino dello Yang Cheng, “lei gioisce delle difficoltà. È una donna molto forte. Ma è anche gentile e fiduciosa”. Potremmo sostituire “donna” con “attrice” e il significato non cambierebbe. Ed ecco allora che ci torna improvvisamente l’appetito. E chi se ne frega se si tratta di un polpettone e magari pure riscaldato: la fame è tanta e la carne è decisamente buona.
La locanda della sesta felicità [The Inn of the Sixth Happiness, Gran Bretagna 1958] REGIA Mark Robson.
CAST Ingrid Bergman, Curd Jürgens, Robert Donat, Michael David, Athene Seyler.
SCENEGGIATURA Isobel Lennart. FOTOGRAFIA Freddie Young. MUSICHE Malcolm Arnold.
Drammatico, durata 158 minuti.