SPECIALE CENT’ANNI DI INGRID BERGMAN
“Vivere e morire a Casablanca”
Ciò che diventa oggetto di culto necessita, secondo l’analisi di Umberto Eco, di una natura “smontabile”. Casablanca, collettore universale di archetipi codificati, cliché e moduli fissi, rappresenta l’hic et nunc eterno di tale meccanismo, un’opera esemplare che contiene in sé il transitorio e l’immutabile.
L’avventura e il melodramma convivono nel refugium peccatorum di Casablanca, crocevia in cui annaspano i lestofanti, complottano le spie e cercano la via di fuga i profughi che intanto attendono tra le vie malfamate. Alle coordinate fisiche del porto di mare in cui si fa scalo per raggiungere la libera America, fanno poi riscontro quelle emozionali espresse da una delle coppie più iconiche della storia del cinema – Humphrey Bogart e Ingrid Bergman –, amanti perduti nella tragedia (nazista) più grande della storia contemporanea. A Casablanca si ritrovano nel Rick’s Bar, torbido avamposto per bische clandestine, ma Ilsa arriva con Victor Laszlo, leader cecoslovacco della Resistenza, anche se il suadente intro di As Time Goes By cambierà per sempre il suo soggiorno nel Marocco francese. Si è detto già tutto su Casablanca, ma non si è mai riflettuto abbastanza sul tormento melanconico che lega a doppio filo la Storia universale a quelle individuali e sublima, fluidificandoli, i desideri propagandistici di una nazione intera intenta a riformulare se stessa come baluardo antinazista, soprattutto all’interno degli studios. Cinema non solo politico, grazie all’apporto di Edward Koch in veste di terzo sceneggiatore, ma anche romantico e idealista, per merito del riadattamento dei gemelli Epstein dal dramma teatrale Everybody Comes to Rick’s. Tra le battute a effetto del copione teatrale che alleggeriscono i toni e i movimenti melliflui da spy story sentimentalistica, la grande epopea di Curtiz è costruita sui primi piani di “Bogey” e Ingrid Bergman, fari luminosi di una scena girata per tre quarti al Rick’s Bar, il locale gestito dal fascinoso avventuriero newyorchese in cui piomba improvvisa l’unica donna che abbia mai davvero amato e a cui Bergman infonde il doloroso trauma dell’amore-passione stendhaliano. Come Noodles nella fumeria d’oppio in C’era una volta in America, Ilsa, dopo essersi ricongiunta con Rick, si riappropria di un passato sfuggente e può finalmente riascoltare la sua storia, messa a tacere anni prima dall’occupazione nazista di Parigi, luogo del loro primo incontro. Il fumo avvolge i ricordi nebulosi, le circonda l’ovale perfetto di un volto raffaellesco, espressione di ciò che l’attrice è sempre stata: seduzione semplice, romanticamente elusiva, tragica ma senza affettazione. Celebrando Casablanca, rendiamo omaggio, per il suo centenario, ad una diva algida e insieme appassionata, venuta dalla Svezia per conquistare la Grande Hollywood.
Casablanca [id., USA 1942] REGIA Michael Curtiz.
CAST Humphrey Bogart, Ingrid Bergman, Paul Henreid, Claude Rains, Peter Lorre.
SCENEGGIATURA Julius J. Epstein, Philip J. Epstein, Howard Koch (tratta dall’opera teatrale Everybody Comes to Rick’s di Murray Burnett e Joan Alison). FOTOGRAFIA Arthur Edeson. MUSICHE M.K. Jerome, Jack Scholl, Max Steiner, Herman Hupfeld.
Drammatico/Sentimentale, durata 102 minuti.