SPECIALE CINEMA NEOREALISTA
Volare oh oh
Miracolo a Milano è tanto un film di De Sica quanto un’opera zavattiniana. Tratto dal romanzo Totò il buono di Zavattini (Totò è il nome dell’ineffabile orfano protagonista della vicenda, una sorta di santo privo di ogni umana cattiveria che, nella seconda parte, inizia persino a fare miracoli e nella sua bontà fanatica non è secondo all’Irene di Europa ‘51), di Zavattini ha l’ironia e la poesia del quotidiano, ma anche la visione del mondo, che coincide perfettamente con le idee di Zavattini sulla società dell’epoca, per quanto la miseria dei senzatetto e le disuguaglianze sociali siano un problema sentito e narrativizzato ad ogni latitudine.
Pure oltreoceano: si pensi all’ancora più riuscito I dimenticati di Preston Sturges, di dieci anni precedente, che con il film di De Sica ha in comune un certo ottimismo di fondo, la chiara volontà di regalare una speranza agli umili e di mostrarne le capacità di resilienza. Apprezzabile la scelta di De Sica e Zavattini di tentare una nuova strada e sviluppare gli elementi di surrealità che convergono verso il celebre e immaginifico finale del volo sulle scope, nei cieli di Milano, a cui si è ispirato Spielberg per una famosa scena di E.T. l’extra-terrestre. L’atmosfera allegorica da parabola morale ha attirato su Miracolo a Milano, tra i pochi esempi italiani di cinema favolistico – un genere molto difficile, che, nel Paese di Collodi, non ha mai regalato buoni frutti in quantità, si ricordi la presunzione dei mediocri tentativi di Benigni, il poco riuscito L’intrepido di Gianni Amelio e l’altrettanto deludente La buca di Ciprì – gli attacchi della destra e della sinistra, impegnate la prima a difendere l’immagine della nazione (coerentemente con il motto andreottiano “i panni sporchi si lavano in casa”) e la seconda a rivendicare una rivoluzionaria combattività “di classe” che i sottoproletari del film non dimostrano di possedere. In effetti è difficile da accettare ideologicamente per lo spettatore ateo il finale del film, in cui tutto si risolve con l’ascesa al cielo dei poveracci “verso un regno dove buongiorno vuol dire veramente buongiorno”. E se invece questo regno alludesse all’URSS, si farebbe davvero fatica a collocarlo tra le nuvole. A conferma dell’opinione baziniana per cui nei film neorealisti spesso sono le scene “minori”, di raccordo, quelle più interessanti, va segnalata almeno la raffinatezza con cui la sceneggiatura si salva in corner da eventuali accuse di razzismo, attribuendo con tutta probabilità all’amore per una bianca il desiderio dell’unico nero nel campo di cambiare il colore della propria pelle. Ma soprattutto non viene nascosta l’avidità (e quindi l’imperfetta umanità) dei barboni, nella gara a chi chiede più soldi alla colomba magica che esaudisce i desideri, fatta recapitare a Totò dal cielo dalla defunta madre adottiva. Un film di una certa complessità, quindi.
Miracolo a Milano [Italia 1951] REGIA Vittorio De Sica.
CAST Francesco Golisano, Emma Gramatica, Paolo Stoppa, Guglielmo Barnabò.
SCENEGGIATURA Cesare Zavattini, Vittorio De Sica, Suso Cecchi D’Amico, Mario Chiari, Adolfo Franci (tratta dal romanzo Totò il buono di Cesare Zavattini). FOTOGRAFIA G.R. Aldo. MUSICHE Alessandro Cicognini.
Commedia/Fantastico, durata 100 minuti.