SPECIALE CINEMA NEOREALISTA
“Altra materia da romanzo”
Spartiacque tra la prima produzione “letteraria” di Alberto Lattuada (Giacomo l’idealista e La freccia nel fianco, rispettivamente tratti da Emilio de Marchi e Luciano Zuccoli) e quella successiva, Il bandito fa risuonare l’eco neorealista di impegno civile in un contenitore romanzesco che rimescola generi cinematografici e impressioni di realtà a ridosso del dopoguerra.
Sarà con Il delitto di Giovanni Episcopo (1947), felice rilettura dannunziana, che il cineasta milanese imparerà a muoversi sul filo “didascalico” del reportage e su quello “poetico” di una scrittura letteraria. Per questo il suo “formalismo critico”, espresso attraverso una personale weltanschauung, è sempre stato confuso con le contingenze rigoriste di uno statuto artistico codificato. Lattuada, al contrario, si è comportato quasi sempre da funambolo sui precari equilibri del modello (neo)realista e di quello romanzesco in senso stretto. Queste le debite premesse per inquadrare storicamente un pastiche come Il bandito, film in tre atti che riassume, attraverso una rilettura dei generi, l’amore del regista per storie e modelli messi a punto al di là e al di qua dell’oceano. Iniziato con i lunghi carrelli che svelano una Torino devastata dal conflitto mondiale, ferite e macerie, “oggetti” senzienti che parlano più di mille psicologismi, il lungometraggio prosegue virando verso un fumoso noir che, in epilogo, si muta in feuilleton dai marcati accenti sentimentali. Il reduce Ernesto Bruneri (Amedeo Nazzari) torna nella sua Torino e trova ad attenderlo una triste realtà: la madre è morta e la sorella è diventata una prostituta. L’incontro casuale con Lydia (Anna Magnani) meretrice in un clan di malavitosi, gli apre la strada “criminale” da gangster improvvisato. Lo stile del regista, controllato e di maniera, non esplode mai nel parossismo dell’azione, anche quando la scena si fa concitata; regna, al contrario, un’armonia di fondo che lega con perfetta alchimia campi e controcampi, panoramiche e soggettive che fanno risaltare l’emotività dei personaggi, impegnati in un valzer carnevalesco che sovverte i loro abituali ruoli, come per la Magnani che, da donna del popolo, si trasforma in una cinica capobanda insieme al suo amante Mirko. Al mascheramento attoriale fa da pendant l’irruzione improvvisa nella vita di Ernesto di una realtà impossibile da accettare, quella del mercato nero e della prostituzione che sovverte ogni valore consolidato. Il gusto per il racconto accessibile e figurativo (grazie anche alla fotografia espressionista di Aldo Tonti) e per un cinema dello sguardo intimo, rendono Lattuada il cineasta della letterarietà militante. Come diceva Flaubert: “altra materia da romanzo”.
Il bandito [Italia 1946] REGIA Alberto Lattuada.
CAST Anna Magnani, Carlo Campanini, Folco Lulli, Amedeo Nazzari, Carla del Poggio.
SCENEGGIATURA Mino Caudana, Oreste Biancoli, Alberto Lattuada, Ettore Maria Margadonna, Tullio Pinelli, Piero Tellini. FOTOGRAFIA Aldo Tonti. MUSICHE Felice Lattuada.
Drammatico, durata 95 minuti.