Lo splendore del vero
È forse superfluo ricordare che la stagione più celebre, celebrata e importante del nostro cinema, quella che ha avuto maggiori influenze sulle cinematografie di tutto il mondo, è stata il Neorealismo.
Proprio al Neorealismo, in occasione del settantesimo anniversario dell’uscita di Roma città aperta, il Museo Nazionale del cinema di Torino dedica la mostra Cinema Neorealista – Lo splendore del vero nell’Italia del dopoguerra, curata da Alberto Barbera, Grazia Paganelli e Fabio Pezzetti Tonion, ospitata nell’elegante sede del Museo nonché simbolo della città sabauda – la Mole Antonelliana − e che sarà possibile visitare fino al 15 novembre. La mostra gioca, come tipico delle esposizioni temporanee del Museo del Cinema, su due fronti: da un lato il fascino e l’impatto scenografico più immediato e dall’altro la precisione della ricostruzione storiografica e analitica. Il percorso si snoda tra le numerose testimonianze fotografiche e audiovisive e i documenti di vario tipo, intervallati da sintetiche quanto precise e dense schede d’introduzione e di analisi, che introducono e spiegano i “capitoli” in cui è divisa la mostra. La parte del leone è, come è facile immaginare, affidata al trio Rossellini-Visconti-De Sica, ma il merito (non così ovvio come si può pensare) dell’esposizione è quello di avere ampliato gli orizzonti storiografici, affrontando, con la stessa densità analitica, anche i registi e i film precursori, gli autori meno immediatamente assimilati alla poetica (Lattuada, Lizzani e De Sanctis in particolare) e le eredità del decennio successivo. Cinema Neorealista – Lo splendore del vero nell’Italia del dopoguerra ha il merito, quindi, di ricostruire una stagione sfuggendo dai luoghi comuni e dalle ricostruzioni più spicciole, anche cogliendo le complessità di un cinema che, approccio alla realtà a parte, era più variegato di quanto si pensi, e che non era una scuola nel senso organico e più consapevole del termine, ma che semmai nasceva da un’esigenza di fondo comune poi espressa in maniere differenti di fare cinema. Si veda, per esempio, come vengono affrontate le differenze tra la poetica rosselliniana e quella di Visconti, o le evoluzioni degli stessi registi tra un film e l’altro; oppure si veda l’importante parere dello stesso Rossellini secondo cui i “volgarizzatori” degli anni ’50 hanno colto nel segno con più incisività degli innovatori del decennio precedente. Con l’unica piccola pecca di avere sottovalutato le eredità neorealiste espresse dalla commedia negli anni ‘50, solo molto fugacemente accennate, la mostra si presenta come un’affascinante e importante ricostruzione di un periodo fondamentale quanto un po’ abbandonato in ricostruzioni banali e ovvie, con il grande merito di riuscire a parlare a tutti, al turista più a digiuno e al visitatore cinefilo.