SPECIALE 34° PREMIO SERGIO AMIDEI
Il fuoricampo della memoria
Ragionando sulle modalità operative di Alan Berliner, si può ben comprendere il sostrato teorico che sta alla base di The Family Album. Il principio di fondo risiede nella volontà di assemblare materiale eterogeneo, proveniente dagli archivi di svariati cineamatori, e di tesserlo recuperandone un intreccio.
Nel suo mediometraggio d’esordio il cineasta opta per la reviviscenza di filmati legati alla memoria individuale e di allargarne la consistenza redigendo un saggio audiovisivo sulla memoria collettiva dell’America che fu. La struttura narrativa è qui determinata da una consequenzialità cronologica che agisce ad imitazione della vita stessa. Pertanto, i primi minuti del film coincidono con riprese di idilli familiari legati alle performance dei bambini nei loro primi anni di età. A seguire il centro delle inquadrature si allarga, e coinvolge situazioni più complesse che riguardano l’inserimento in società. Ma c’è una ragione in tutto ciò: la tendenza di archiviare i rulli relativi ai primi anni di età dei figli, e di monitorarne i progressi. In seguito, i protagonisti crescono e acquisiscono maggiore indipendenza; i progressi divengono meno interessanti e meno individuabili e l’oggetto delle riprese più fumoso. Da ciò emerge un punto fondamentale: lo spettatore non riconosce precisi attori, e la storia non si concentra su un preciso nucleo famigliare. Al contrario la dimensione corale affiora nell’evidenziazione della moltitudine di protagonisti che agiscono come personaggio collettivo. Correlata al visivo, la dimensione sonora risulta in The Family Album di capitale importanza. A descrivere le immagini, e a raccontarne ciò che vi sta “dietro”, sono le registrazioni audio delle memorie di altri protagonisti. Come le riprese, anche le registrazioni hanno subito un processo di recupero e assemblamento alla maniera del collage. Tra racconti, pianti, canti, semplici gorgoglii onomatopeici, il suono acusmatico ha una doppia valenza descrittiva e narrativa. Talvolta si limita a narrare quanto lo schermo riporta, talaltra finge di “dialogare” con le immagini, imitando una correlazione diretta tra quanto viene detto e quanto viene mostrato. Altre volte ancora, le voci narranti raccontano quello che le immagini non possono dire. È in quest’ultimo frangente che emerge lo snodo di senso che rende The Family Album un prodotto estremamente importante. È difatti la dimensione sonora a fungere da elemento rivelatore e a determinare la pregnanza del fuori-campo nella dimensione memoriale degli home movies. L’album di famiglia è qui visto come un assemblamento di ricordi felici, che decidono di censurare quanto di triste vi sia dietro le immagini mostrate. Dietro la maschera di feste, risate, e scherzi esibiti con tanta euforia vi è un controcanto di storie di alcolismo, di matrimoni di facciata e, soprattutto, di perdite.
The Family Album [id., USA 1986] REGIA Alan Berliner.
SOGGETTO Alan Berliner.
Documentario, durata 60 minuti.