SPECIALE YASUJIRŌ OZU
La scissione di un’unità
I film di Ozu hanno la bellezza dell’arte classica e la sua potenza espressiva, non si basano su una trama ma su uno stato d’animo, gli accadimenti non sono che pretesti, esplorazioni, prove per quello stato d’animo che così emerge autentico e sincero dalle azioni, che diventano azioni-descrizioni.
Tōkyō monogatari descrive lo stato d’animo di Shukichi e Tomi, un’anziana coppia che decide di partire dal loro piccolo villaggio e andare a trovare i loro figli a Tokyo. I figli sono molto cambiati, il lavoro domina le loro vite, la distanza dai genitori maturata con l’indipendenza, la lontananza, sembra irrecuperabile, il loro rapporto è di pura cortesia. “Poniamo troppe aspettative nei nostri figli” dice un vecchio amico di Shukichi, anche lui a Tokyo, e a rivelarsi più gentili e generose son spesso le persone da cui ci si aspetta meno: il secondo figlio della coppia è scomparso in guerra e la moglie Noriko, dopo 8 anni, non ha ancora ripensato a sposare un altro uomo e cominciare un’altra vita. Sarà lei a mostrarsi più vicina alla coppia. Se il dialogo con i figli è difficile, quello con i nipoti è del tutto assente: durante una passeggiata la nonna prova a parlare col piccolo Isamu, ma lui resta muto, di spalle. C’è freddezza, amarezza, rassegnazione, i temi sono simili ad altre opere di Ozu come Figlio unico, Tarda primavera, Il gusto del sakè, il rapporto tra generazioni e tra individuo e gruppo di appartenenza, in primis la famiglia. Le celebri inquadrature di Ozu geometriche ed equilibratissime stupiscono ad ogni visione, talmente son piene di bellezza, ordine e significato. Il fitto sovrapporsi di quadrati, porte, piani, rettangoli, motivi lineari, in cui i personaggi sono disposti mette in rapporto uomini e ambiente come solo il neorealismo e certo cinema russo hanno saputo fare. Gli uomini sembrano incasellati, disposti a vivere in riquadri predefiniti, senza uscire dai binari, ognuno ha il suo spazio e il suo ruolo, Ozu reinterpreta figurativamente la concezione della società giapponese. La vita si rivela necessariamente egoista e tra gli individui c’è un muro, un limite. Ad ogni inquadratura abbiamo infatti un personaggio singolo o personaggi disposti su più piani, non c’è mai un insieme, una parità. Solo due volte si infrange la regola, alla morte di Tomi quando c’è una fuggevole riunificazione familiare e quando la coppia unita dalle difficoltà agisce e quasi pensa insieme, quasi fossero due facce dello stesso individuo, o come abbiamo accennato, dello stesso stato d’animo. In una scena i due camminano lungo un muro oltre il quale si vede Tokyo, Shukichi dice a Tomi che se si separassero potrebbero perdersi e non trovarsi più: la separazione-scissione da noi stessi cui la vita adulta e la città ci costringono.
Viaggio a Tokyo [Tōkyō monogatari, Giappone 1953] REGIA Yasujirō Ozu.
CAST Chishū Ryū, Chieko Higashiyama, Setsuko Hara, Haruko Sugimura, Sō Yamamura.
SCENEGGIATURA Kōgo Noda, Yasujiro Ozu. FOTOGRAFIA Yūharu Atsuta. MUSICHE Kōjun Saitō.
Drammatico, durata 136 minuti.