SPECIALE YASUJIRŌ OZU
Fra tradizione e fuga dalla quotidianità
Una riunione tra vecchi amici e conoscenti si consuma intorno ad un tavolo ricco di saké. Dall’ubriachezza di uno degli uomini nasce un fortuito incontro tra sua figlia e uno dei più giovani presenti. Discussioni, riflessioni e bilanci delle proprie vite portano gli amici a contraddirsi e a conclusioni diverse tra loro, provocando conseguenze divise tra l’inseguimento delle emozioni e il rispetto delle tradizioni.
I protagonisti de Il gusto del sakè, a prescindere dalle loro coordinate anagrafiche, sembrano tutti soffrire una certa routine quotidiana che accompagna ognuno lungo percorsi definiti a priori e che lasciano ben poco spazio alle emozioni estemporanee. In realtà, ciò è frutto non tanto di una costrizione reale dei sentimenti, quanto di conclusioni di logici ragionamenti. La delicatezza e in qualche modo la leggerezza di Ozu però ci lasciano intravedere come questa freddezza e meccanicità tanto esasperata dagli stereotipi comuni non corrisponda a realtà. Le vite scorrono e seguono ragionamenti diversi: ognuno trae le proprie conclusioni e cerca di trovare felicità come può. Le continue contraddizioni dei personaggi lo dimostrano, così come le apparenti forzature familiari che subiscono: ma proprio queste potrebbero anche essere considerate sintomo di decisioni repentine che si basano su qualcosa di diverso dall’asettica logica. Ozu si conferma maestro proprio in questa abilità di raccontare con leggerezza battaglie interiori, apparentemente quasi inesistenti, le cui conseguenze, però, si fanno sentire in ogni momento. Un bicchiere di sakè diventa quindi il simbolo della fuga dalle circostanze quotidiane, ma una fuga svogliata, non molto convinta, sufficiente solo con la propria presenza come idea a soddisfare questo desiderio di sottrarsi al mondo per qualche momento. La fissità delle immagini, gli sguardi in macchina ripetuti e i colori accesi contribuiscono ad accentuare questo senso di dialogo tra il pro filmico e gli spettatori, coinvolgendo quest’ultimi proprio nei meccanismi di pensiero vigenti all’interno delle immagini. In qualche modo si riconosce la propria libertà di espressione e di azione, definendo quindi la conformità a certi comportamenti come scelta deliberata e cosciente. Ogni conflitto interiore diventa quindi comparabile a quello di ogni individuo sulla faccia della Terra. Il gusto del sakè diventa la rappresentazione di quell’oscillazione costante tra dolore e noia (più la seconda che la prima, in questo caso) profilata da Schopenhauer e Ozu pare seraficamente accettarla, anche perché combatterla avrebbe ben poco significato e la speranza di successo sarebbe quasi nulla.
Il gusto del sakè [Sanma no aji, Giappone 1962] REGIA Yasujirō Ozu.
CAST Chishû Ryû, Shima Iwashita, Keiji Sada, Shinikiro Mikami, Mariko Okada, Teruo Yoshida.
SCENEGGIATURA Yasujirō Ozu, Kōgo Noda. FOTOGRAFIA Yuharu Atsuta. MUSICHE Kojun Saito.
Commedia, durata 113 minuti.