Piove, senti come piove
Il giardino delle parole è un film in cui si parla poco. Paradossalmente, a farla da padrone, è un’estetica fondata sull’immagine e sui suoni alternati della metropoli e della natura. I dialoghi non mancano, ma impallidiscono davanti alla potenza visiva dei disegni di Shinkai Makoto: un mondo ricchissimo di dettagli, reso vivo e pulsante da riflessi cangianti e movimenti impercettibili.
Attraverso questo stile di rara capacità espressiva, si dipana una storia lieve e profonda al tempo stesso: il legame tra due individui appartenenti a mondi distanti ma accomunati dalla solitudine. Takao, studente quindicenne che marina la scuola nei giorni di pioggia per esercitarsi nel design di calzature; Yukari, giovane donna che nasconde un segreto e trascorre le sue mattine al parco consolandosi con birra e cioccolata. Il primo, sempre distratto a sognare il futuro; la seconda, incastrata in un eterno passato che le impedisce di guardare avanti. La loro alcova è il gazebo nel parco, luogo magico e sospeso che riflette la malinconia dei personaggi nella natura rorida di pioggia. Una dimensione a parte, uno spazio interiore che esiste solo quando il tempo è cattivo e si trasfigura, nei giorni di sole, in un luogo qualunque e impersonale. Qui, Takao progetta scarpe per andare lontano, ma anche per offrire appoggio e sostegno, per proteggere il cammino di chi non sa più come procedere. Qui, Yukari ricomincia a vivere, come la natura che si rinnova, in un giardino allegoria dell’animo che luccica di lacrime e spiragli di speranza. A partire da pochi istanti significativi, Makoto evoca sconfinati universi interiori grazie a una tecnica in grado di sposare estrema poesia e accurato realismo. Lo studio del colore e il dinamismo del tratto concorrono all’effetto di un paesaggio vibrante di luce, sia quella pulviscolare e diffusa del giardino che quella scintillante delle insegne della metropoli. Alla perfezione minuziosa dell’immagine, l’autore di 5 centimetri al secondo e Viaggio verso Agartha accompagna la sensibilità di una storia affatto scontata, ricca di sfumature appena accennate eppure allusiva di situazioni di disagio radicate nella società: il pregiudizio, la difficile vita scolastica, il maschilismo degli ambienti professionali e l’inadeguatezza della scuola ad accogliere le reali potenzialità degli allievi. Una serie di tematiche che il mediometraggio può solo sfiorare e che, intelligentemente, si guarda bene dal voler ridurre a improbabili soluzioni di comodo. Il vero fulcro della vicenda sono piuttosto i sentimenti e il modo in cui questi condizionano la vita, aprendola a nuove ispirazioni o relegandola a un mero trascinarsi. Il risultato è un film riuscito, nella sintesi narrativa così come nella maestria stilistica, al punto di lasciarsi perdonare anche il finale tutto sommato stucchevole. La morale è presto detta: si può tornare a rivedere il Sole solo imparando ad amare la pioggia.
Il giardino delle parole [Kotonoha no niwa, Giappone 2013] REGIA Makoto Shinkai.
SCENEGGIATURA Makoto Shinkai. FOTOGRAFIA Makoto Shinkai. MUSICHE Motohiro Hata.
Animazione, durata 46 minuti.