Il Cinema Ritrovato, XXIX Edizione, 27 giugno – 4 luglio 2015, Bologna
Il vecchio e il nuovo
Tra le tante retrospettive interessanti del 29° Cinema Ritrovato di Bologna ve ne è una particolarmente ricca di opere rare e quasi mai viste: “Tarda primavera. Un nuovo sguardo sul cinema del disgelo”, dedicata ai film sovietici girati nel primo periodo post-stalinista (circa metà anni ’50). Numerose le opere notevoli viste fin’ora, tra cui la satira sul carrierismo Zvanyi užin (Una cena festosa) e il lirico e poetico dramma sociale di Abuladze e Ccheidze Lurdža Magdany (L’asino di Magda).
Bol’šaja sem’ja (Una grande famiglia) di Iosif Hejfic probabilmente non è la pellicola migliore tra quelle presentate, ma è forse la più rappresentativa del periodo di cambiamento politico e sociale sul quale si concentra la rassegna. Realizzata nel 1954, l’opera, attraverso la narrazione delle vicende della famiglia operaia Žurbin e delle varie generazioni che la compongono, riflette il clima di mutamento presente nel Paese; un tema che viene dichiarato fin dalla prima sequenza, in cui il padre accenna a dei cambiamenti politici in corso. Una problematica che si evince anche attraverso il continuo rapporto dialettico tra le diverse generazioni: qui vediamo padri e figli che “litigano” sulla loro conoscenza del lavoro, genitori che predicano e danno consigli, giovani entusiasti e ansiosi di proporre le loro nuove idee, anziani che non intendono andare in pensione, ecc. E anche se la dialettica è evidentemente tra “vecchio” e “nuovo”, non siamo affatto dalla parte di Ėjzenštejn e della sua Linea generale (1929), non solo perché i due film appartengono a due epoche molto diverse (i primi anni dello stalinismo in un caso, il disgelo nell’altro), ma anche in quanto la pellicola del ’29 è esplicitamente socio-politica, mentre Una grande famiglia ha un racconto più intimista che solo indirettamente riflette il contesto in cui si svolge. Inoltre, mentre nell’opera di Ėjzenštejn ci si concentrava in primis sull’esaltazione degli avanzamenti tecnologici e sociali del Paese, nel film di Hejfic il progresso, il “nuovo”, è visto sì come giusto e inevitabile, ma al tempo stesso non viene rinnegato ciò che si è attuato precedentemente, che è anzi riconosciuto come importante e fondamentale. Qui le generazioni si scontrano, ma alla fine si rispettano e si uniscono, in quanto appartenenti a un medesimo modello sociale e a una medesima Nazione che muta perché lanciata verso il progresso. A confermare tale approccio vi sono anche una narrazione piana e dei toni quasi sempre tenui e pacati, sia nei momenti più drammatici sia in quelli più ironici, che rappresentano i conflitti senza esasperarli. Questo perché per l’autore l’Unione Sovietica è, in fondo, una “grande famiglia”.
Bol’šaja sem’ja [id., URSS 1954] REGIA Iosif Hejfic.
CAST Sergej Luk’janov, Boris Andreev, Vera Kuznecova, Sergej Kurilov, Vadim Medvedev.
SCENEGGIATURA Vsevolod Kočetov, Sokrat Kara. FOTOGRAFIA Sergej Ivanov. MUSICHE Venedikt Puškov.
Drammatico, durata 108 minuti.