Parlare di cortometraggio italiano oggi è parlare di qualcosa in fieri, di un panorama in fase di continuo mutamento. Essenzialmente per due motivi. Prima di tutto per il fluttuante coinvolgimento delle istituzioni, sicuramente ancora poco “strategico” sull’industria del corto. Non esiste un festival di riferimento in Italia, non esiste una distribuzione da sala, e anche le televisioni acquistano e diffondono poco i corti; l’unica cineteca specificamente di corti è quella del Centro Nazionale del Cortometraggio, che opera anche (e soprattutto) come agenzia di promozione del corto italiano.
Inoltre, perché gli autori di corti sono molto spesso giovani se non giovanissimi. Molto più dei Soloni dell’audiovisivo di Stato – e del sottoscritto – hanno il polso di cosa sia il contemporaneo nell’audiovisivo e, dunque, anche nel corto. Guardano alle mode, certo, ma anche alle tecnologie, con tutte le implicazioni estetiche che ciò può comportare. Diventa difficile, insomma, cogliere l’essenza del corto contemporaneo. Il che è un bene perché è molto stimolante. Tiene svegli, nel generale torpore del cinema italiano contemporaneo.
Se il panorama è in continuo mutamento, una sola cosa è da anni saldamente fissata nel pensiero comune del cinefilo medio: il cortometraggio italiano è scadente. Un pregiudizio che questo speciale di Mediacritica spero contribuisca a sfatare. Non solo il corto italiano non è inferiore a quello degli altri Paesi europei ma si può affermare tranquillamente che stia vivendo un momento di rinascita. Sotto le più svariate forme: dal dramma realista al documentario, dal film intimista a quello di genere. Aspetto con curiosità la selezione di Venezia, convinto che ci saranno delle sorprese, perché di film italiani potenzialmente selezionabili ce ne sono diversi, e tutti di alta qualità. Inoltre, il cortometraggio italiano parla del nostro Paese molto di più di quanto lo faccia il lungo. Spesso con ingenuità, con pochi mezzi, con un linguaggio ancora da perfezionare (e dominare). È cinema scadente questo? Non è infinitamente più fastidiosa la sicumera del cinema d’autore – o presunto tale – italiano, con i suoi quattro attori, quattro sceneggiatori, e la morale sempre pronta in tasca?
Non è facile vedere i corti. Alcuni dei film di cui si parla in questo Speciale sono reperibili su internet, altri li potrete incrociare in qualcuno dei circa duecento festival italiani che programmano corti. E questo è il problema maggiore che tocca il corto in Italia e che si riflette sulle sue possibilità produttive. Ne sanno qualcosa alcuni dei nostri migliori autori che, come capita in tutti i campi, si trasferiscono all’estero. Da Adriano Valerio (Francia) a Cristina Picchi e Adriano Cirulli (Gran Bretagna) ad Anna Marziano (Germania), a molti altri che realizzano film formalmente non italiani perché realizzati da produzioni estere. Mi piacerebbe dire loro “tornate!”, ma vorrei che la mia voce fosse solo una delle tante e, anche su questo, il Centro del Corto sta lavorando.