SPECIALE TARDA PRIMAVERA (E ALL’IMPROVVISO SEI VECCHISSIMO)
Alla ricerca del tempo (futuro) perduto
Si pensa a Cocoon e viene subito in mente la piscina, con immersi i grossi ovuli carichi di quella misteriosa energia che donerà magicamente nuova linfa ai tre arzilli vecchietti. La fonte dell’eterna giovinezza a portata di mano, anzi a portata di ospizio, offerta gentilmente – ma senza rendersene conto – dal gruppo di antareani giunti sulla terra per riportare a casa alcuni dei loro conterranei rifugiatisi in passato sulla Terra.
Detto questo, più difficile invece è ricordarsi della cittadina in cui è ambientata la vicenda. È bene farlo però, perché se la pellicola di Ron Howard non è un film per vecchi, di certo lo è il luogo in cui vivono Art, Ben e Joe assieme alla comunità di anziani. La località marittima è un posto in cui il tempo non sembra essersi semplicemente fermato, ma sovrapposto con il tempo reale della vicenda. La cittadina è un luogo che si svela ontologicamente contraddittorio nel suo ancorarsi alle atmosfere e agli stili architettonici degli anni ’40-’50, nonostante la manifesta contemporaneità (siamo nel 1985), che tra la discoteca e la villa fatiscente rimarca con forza l’inesorabile passare del tempo. Le auto, la sala da ballo per lo swing, i bar con i suoi frullati e la musica extradiegetica, creano uno strano limbo temporale indefinibile tra un’era e l’altra, quasi fosse la versione costiera della Lumberton di lynchiana memoria. Insomma, è uno spazio temporalmente ambiguo e delimitato nella sua finzione cinematografica e non è un caso che proprio al largo della cittadina si trovi sommersa Atlantide, simbolo mitologico non solo di uno spazio che ha ceduto dinanzi alla forza della natura, ma anche città rimasta, nella sua catastrofe che l’ha avvolta ma non distrutta, come testimonianza inalterata del suo tempo. In questo contesto atemporale, i primi a non sentire il passare del tempo sono proprio Art, Ben e Joe, e ancora prima d’immergersi nella piscina, perché i tre intrufolandosi nella proprietà privata svelano una birbanteria giovanilistica degna di novelli Tom Sawyer e Huckleberry Finn. Appunto, uno slancio giovanile legato indissolubilmente alla loro giovinezza, per forza di cose anacronistica rispetto a chi giovane lo è anagraficamente in quegli anni (e qui la sequenza in discoteca diventa necessariamente ossimorica). Con il suo ironico e continuo contraltare tra il passato anteposto alla contemporaneità, Cocoon non è un film per vecchi, ma la favola su uno stato esistenziale perduto, su un luogo che non fa altro che ricordare come la razza umana adori gli orologi ma non conosca il tempo, su un limbo atemporale tra il tempo vissuto e quello futuro che, nonostante la piscina della giovinezza, andrà perduto.
Cocoon – L’energia dell’universo [Cocoon, USA 1985] REGIA Ron Howard.
CAST Wilford Brimley, Dom Ameche, Hume Cronyn, Brian Dennehy.
SCENEGGIATURA Tom Benedek. FOTOGRAFIA Donald Peterman. MUSICHE James Harner.
Fantascienza, durata 117 minuti.