Human Rights Nights, 8-17 maggio 2015, Bologna
Il vecchio e il bambino
Esule in patria (l’Iran) perché messo all’indice proibito della censura, l’apolide Mohsen Makhmalbaf, strenuo sostenitore della democrazia contro qualsiasi forma di tirannide, attivista, militante fin dall’età di 15 anni, è autore di un exemplum travestito da fiaba morale, ambientato in uno sconosciuto Paese caucasico sotto un ipotetico regime dittatoriale.
Spesso utilizzate in chiave agiografica, le narrazioni esemplari avevano lo scopo di docere (insegnare) e delectare (dilettare), raccontando l’universalità di situazioni condivise e fondandosi sull’auctoritas del narratore. Il regista iraniano di Viaggio a Kandahar, professionista della parola poetica come i trovatori provenzali e cronista scomodo del disagio sociale e politico, sceglie un’immaginaria location in Georgia per inscenare il ribaltamento carnevalesco vissuto da un feroce dittatore e il suo giovane nipotino di 5 anni, costretti – a seguito di un colpo di stato – a fuggire dal palazzo dorato e dalle sale del potere travestiti da cantastorie e paggetto. Mentre ascolta e vive sulla propria pelle il dolore che ha procurato nel popolo vessato, “sua maestà” strimpella la chitarra e suo nipote, nostalgico e sognatore, danza mentre ricorda Maria, la bambina che piroettava con lui nelle fastose sale del palazzo regio prima che le forze d’opposizione iniziassero la caccia all’uomo. Per proteggerlo dagli orrori che lui stesso ha creato col suo pugno di ferro, l’ex capo di stato lo nasconde alla gente assetata di vendetta dicendogli che è tutto un gioco e che, non appena giunti al confine, tutto avrà termine. Come un giullare, la cui etimologia risale a ioculator e quindi a iocus (gioco), chiave interpretativa dell’avventura vissuta dai due fuggiaschi in mezzo alla rivoluzione popolare, il vecchio leader reazionario cerca, ma invano, di nascondere la “materia oscena” della guerra all’innocente, il quale reitera senza tregua interrogativi semplici che vanno al di là del demagogico per divenire universali. Entrambi vivono un percorso di rieducazione attraverso una paradigmatica peregrinatio a parti invertite, in cui la cultura subalterna e l’ortodossia al comando convergono, vittime e carnefici si confondono e il male, generato dal “leviatano” hobbesiano, è figlio legittimo dell’assolutismo politico. Denso di riflessioni antimilitariste e quadretti surreali in cui la violenza, pervasiva e totalizzante, è quasi sempre fuori campo, The President infonde, nella struttura atemporale e aspaziale della fabula, la tragedia intima dell’uomo nel “mucchio selvaggio” delle rivoluzioni armate, ricordandoci – con le parole di Hobbes – che oltre a quello della ragione, all’uomo è elargito anche il privilegio dell’assurdità. Istruttivo.
The President [id., Georgia/Francia/Gran Bretagna/Germania 2014] REGIA Mohsen Makhmalbaf.
CAST Misha Gomiashvili, Dachi Orvelashvili, Guja Burduli, Iamze Sukhitashvili.
SCENEGGIATURA Mohsen Makhmalbaf, Marziyeh Meshkini. FOTOGRAFIA Konstantine-Mindia Esadze. MUSICHE Guja Burduli, Tajdar Junaid, Daler Nazarov, Kvicha Maglakelidze.
Drammatico, durata 115 minuti.