SPECIALE DALLA RUSSIA CON AMORE
“Il sonno della ragione”
In mezzo ai fantasmi spaziali prodotti da un oceano senziente il dottor Kelvin, psicologo inviato in missione per risolvere un mistero in orbita, si trova in lotta contro il sonno della ragione. Che genera mostri.
Si potrebbe partire dal discorso su un’assenza. Pur trattandosi di un’opera fantascientifica, definita la risposta oltrecortina a 2001: Odissea nello spazio, Solaris sfugge alla codificazione classica del genere e si libera della retorica “mostruosa” della tradizionale sci-fi anni ’60. Eliminato anche il viaggio interstellare, rimane una “zona oscura” che Merleau-Ponty nella sua Fenomenologia della percezione definisce onnipresente e senza confini. Se il filosofo parla della notte, il regista si rivolge al buio della coscienza e all’eclissi della conoscenza. Si tratta di un falso movimento, di un’illusione immaginativa, o di un viaggio di sola andata verso una follia delirante? Non è dato saperlo. L’unica cosa certa è che questa “notte dell’inconscio” offre una spazialità senza cose, un universo in cui sono il desiderio e la sofferenza del malinconico a strutturare lo spazio, a modellare gli anfratti del veicolo orbitale, ad abitarlo di presenze “assenti” dalla contingenza terrena. All’inizio il contemplativo prologo terrestre (assente nella versione italiana e nel romanzo omonimo di Stanislaw Lem da cui è tratta l’opera) ci mette di fronte ad una scena idilliaca: Kris Kelvin, psicologo che si prepara a raggiungere l’immensità cosmica, si trova nella casa paterna circondata da una viva natura, al cospetto dei genitori e di uno scienziato che lo informa di strani fenomeni accaduti sul pianeta dell’ “acqua pensante”. Catapultato in orbita, sperimenta il potere di Solaris che materializza la moglie morta tempo addietro e i ricordi di un’intera vita. Sulla stazione spaziale, dopo il suicidio di Gibarjan, i due superstiti iniziano lentamente a impazzire, mentre lo psicologo diventa sempre più succube dell’allucinazione condivisa. Si potrebbe citare la letteratura del perturbante, la rielaborazione del lutto freudiana, la filosofia di Heidegger, le riflessioni sul tempo e sulla memoria. Non servirebbero a dirimere il profluvio psicanalitico dei laici incontri oltremondani e lo stream of consciousness che svela vecchie memorie. I corridoi della nave spaziale sono labirinti mentali che si aprono alla “nostalghia”, al ricordo (personificato nella moglie defunta plasmata da Kelvin) racchiuso in una fluttuante “scatola sartriana”: inferno degli affetti chiusi in una (circoscritta) eternità siderale. Proiezioni immaginative che ossessionano il protagonista e noi spettatori, disorientati, ipnotizzati e immersi in un tempo originario che non conosce durata ma solo dilatazioni. Il tempo infinito della coscienza.
Solaris [Soljaris, URSS 1972] REGIA Andrei Tarkovskij.
CAST Natalya Bondarchiuk, Donatas Banionis, Jüri Järvet, Anatoliy Solonitsyn.
SCENEGGIATURA Andrei Tarkovskij, Fridrich Gorenshtein. FOTOGRAFIA Vadim Yusov. MUSICHE Eduard Artemyev, Vyacheslav Ovchinnikov.
Fantascienza, durata 165 minuti.