SPECIALE DALLA RUSSIA CON AMORE
Gigantesco come il Leviatano, è il cinema
In un paese anonimo del nord della Russia, l’ex militare Kolia (Alekseï Serebryakov) lotta contro il prepotente sindaco dalla fervente religiosità, intenzionato ad espropriarlo della sua abitazione per costruire un gruppo di nuovi appartamenti.
Per portare a termine la sua testarda lotta contro il potere fa venire da Mosca un amico avvocato che si mette letteralmente alle costole del primo cittadino, costringendolo a rivedere le sue mire. Ma la strada di Kolia, uomo solo e piccolo di fronte all’ingiustizia del mondo, sarà lastricata da un’interminabile successione di ostacoli. Vincere il premio per la migliore sceneggiatura a Cannes e poi vedersi soffiare l’Oscar come miglior film straniero potrebbe, di per sé, rappresentare un indizio di qualità e di autorialità da non sottovalutare. Si potrebbe pensare, letta la trama e considerato il prestigioso premio, ad un’opera minimale basata per gran parte sulle capacità recitative degli attori e narrative degli sceneggiatori (Oleg Negin e lo stesso regista Andrey Petrovich Zvyagintsev), da inserire nel calderone dei prodotti festivalieri sempre meno cinematografici e sempre più televisivi. Nel caso di Leviathan tali pregiudizi hanno il solo ruolo di aumentare a dismisura il godimento dello spettatore trovatosi davanti ad uno spettacolo raro per gli occhi, figlio prossimo del cinema russo delle origini (naturalmente la rappresentazione delle icone propria di Ėjzenštejn) e, al tempo stesso, del grande cinema contemporaneo (su tutti Nuri Bilge Ceylan e Paul Thomas Anderson). Come un Giobbe moderno, lontanissimo dalla figura proposta dai Coen in A Simple Man, Kolia affronta il Leviatano/Stato hobbesiano con la sola arma dell’opposizione ad oltranza, del cieco sabotaggio della modernità, buona o cattiva che sia. Nella sua progressiva discesa nell’inferno della Russia contemporanea fatto di tradimenti, diritti negati e rapporti familiari quanto mai complicati, il protagonista non riesce mai ad apparire positivo al fine di guadagnarsi lo status di vittima. Semmai è tragicomica la sua idea di mondo, in pura salsa “degrado post sovietico”, di cui è parte integrante un pic-nic di caccia nel quale i bersagli sono innocenti bottiglie di vetro o ritratti dei leader sovietici del passato. L’unica icona a troneggiare, al pari dell’immagine fiammeggiante del volto di Cristo, è quella di Putin: estremi di un mondo ridotto a carcassa, scheletro nel quale la bellezza si recupera solo nella morte, nella solitudine o nell’assenza di umanità. Il tutto dipinto da una regia emozionante dalla quale traspare un’idea precisa di linguaggio visivo (non di fotografia) che può ancora stupire ed evolversi, trattandosi di arte e non solo di industria.
Leviathan [id., Russia 2014] REGIA Andrey Petrovich Zvyagintsev.
CAST Alekseï Serebryakov, Vladimir Vdovichenkov, Roman Madyanov, Elena Lyadova.
SCENEGGIATURA Oleg Negin, Andrey Petrovich Zvyagintsev. FOTOGRAFIA Mikhail Krichman. MUSICHE Philip Glass.
Drammatico, durata 140 minuti.