Io non sono stato a tutte le edizioni del Far East Film Festival, non sono un fan del cinema asiatico, non mi metto ad urlare “wow” tarantolato all’apparire di un qualsiasi regista giapponese, o indonesiano, o vietnamita, che di solito nemmeno conosco, e per questo dovrei essere abbattuto all’uscita dalla sala.
No, non sono così. Però adoro questa kermesse, perchè amo la Settima Arte e le sorprese che spesso produce. È importante a volte non avere aspettative, sia nella umana rincorsa alla felicità terrena, sia poco prima dello spegnimento delle luci alla proiezione dell’ultima fatica di Pak Doo-ik, che non è esattamente un nome di fantasia, ma un dentista che nel 1966 ci fece gol ai campionati del mondo di calcio eliminandoci e portando il Bel Paese verso il tracollo economico. Ecco, tu sei lì e non sai, hai solo letto la sinossi, qualche volta hai conosciuto il regista perché hai ululato dalla galleria, se si tratta di Okita Shuiki e hai visto The Woodsman and the Rain o A Story of Yonosuke hai quasi la certezza di una riconferma ad alti livelli, che puntualmente avviene con il delicato e incantevole Ecotherapy Getaway Holiday, pregno di ironia e puntigliosa armonia, o rimani deluso da Yamashita Nobuhiro, narratore ordinato di un’umanità spazzatura, che invece con La La La at Rock Bottom rimane intrappolato in alcuni cliché retrò ammantati di déja vu. Il fatto che in questo momento io stia ridendo non mi impedirà di dire bene di un paio di pellicole che, in modi diversi, mi hanno emozionato, perché io che non strillo istericamente dal terzo anello è questo che cerco in fondo: quei piccoli brividi, quelle piccole lacrime, quei groppetti che ti stringono lo stomaco e che a volte vengono liberati da una risata. Questo è avvenuto con My Brilliant Life di E J-yong, che è stato bravo a non scadere mai nella retorica del dolore visto che parlava di morte, di famiglia, di amore genitoriale e di buoni sentimenti. Alla fine risulta tutto perfetto, dalla regia alla fotografia, dalla sceneggiatura alla prova attoriale del giovane protagonista, e solo in pochi all’uscita si sono dilungati in sciocche puttanate autoreferenziali d’essai confortati dalla loro finta conoscenza belatarriana: non puoi fare così se hai gli occhi rossi e la morosa attaccata al braccio che ti guarda come un bambino guarda una clementina a Natale. La chiosa finale è per Port of Call di Philip Yung, da Hong Kong. Un noir vero, piuttosto di nicchia, con un retrogusto godardiano intenso, dove i sottintesi alimentano misteri più freudiani che autenticamente gialli. Un’edizione, questa diciassettesima del Feff, molto buona, superiore – per quel che ne capisco io – alle ultime due; e comunque chissenefrega, a me è piaciuta. Solo un appunto allo staff organizzativo: create uno spazio con un rogo eterno e un frustatore professionista nel patio per gli uhuhpeople, credo meritino una giusta fine.
Massimiliano Deliso, Cormòns, Gorizia, 21 agosto 1967. Scrittore incompiuto a livello mediatico, è stato blogger con Il Teatro Invisibile di Mr. Potter dove intratteneva gli astanti con delle storie corte. Scrive per il quindicinale Panorama (HR), dove si occupa di Cinema, Teatro e Musica. Conduce la trasmissione radiofonica I Fratelli Lugosi per Radio Onde Furlane, dove svolge anche il ruolo di critico cinematografico. Scrive racconti brevi che vengono spesso letti in pubblico da giovani attori presi a caso per strada, riscuotendo un grande successo di pubblico e critica. A volte ci sono anche delle donne.