SPECIALE JOSS WHEDON
Basta guardare il cielo
Gli universi paralleli esistono. Molti probabilmente lo ignorano, ma c’è un mondo alternativo dove un tale di nome Joss Whedon è considerato alla stregua di una divinità pagana. Da venerare e idolatrare. Chi è Joss Whedon? È il creatore di Buffy l’ammazzavampiri e del suo spin off Angel.
Ha poi realizzato la serie tv Dollhouse, e se sfogliate i suoi credits sull’Imdb scoprirete che ha scritto Alien – La clonazione e il primo Toy Story. Oltre a The Avengers e il suo seguito, Age of Ultron, ovviamente.
In quell’universo parallelo in cui Joss Whedon è Dio, il network americano Fox è il Diavolo e il peccato originale si chiama “cancellazione di Firefly”. Una serie, Firefly, che non tutti, nel mondo “reale”, hanno sentito nominare, ma che per gli adoratori di Whedon è una delle più amate di sempre. Quindici maltrattatissimi episodi, mandati in onda dalla Fox a casaccio tra il 2002 e il 2003, relegati nel terribile “slot della morte del venerdì sera” (quando gli americani guardano lo sport e le serie tv veleggiano verso la soppressione), spariti dai piccoli schermi per la mancanza di ascolti. Firefly è (“è”, al presente: in quell’universo parallelo, che poi si chiama Whedonverse, tutti sono fermamente convinti che, prima o poi, il Miracolo avverrà e la serie televisiva proseguirà con nuove avventure) un telefilm di fantascienza ambientato in un futuro e in una galassia lontane lontane. Al centro della storia, l’astronave del capitano Malcolm Reynolds (Nathan Fillion) e il suo equipaggio: il capitano, appunto, reduce indipendentista sconfitto dall’Alleanza dopo l’unificazione/conquista del sistema stellare; l’ufficiale in seconda ed ex commilitone di Malcolm, la tosta Zoe; il pilota Wash, il mercenario Jayne, la meccanica Kaylee, il pastore Book, l’accompagnatrice Inara. E poi i due fuggitivi, fratello e sorella, Simon e River Tam. River era una bimba prodigio, ora è “matta” e pericolosa: l’Alleanza ha condotto su di lei esperimenti misteriosi e adesso le dà la caccia fino ai confini dell’universo. Serenity è il film che Joss Whedon è riuscito a regalare ai suoi fan, orfani inconsolabili di Firefly. Per dare una degna conclusione alla storia e per elaborare il lutto. Una trama godibilissima anche per chi non ha seguito la serie, capace di presentarci in poche battute i personaggi, puntellare con precisi paletti un universo finzionale dettagliato, appassionare alle avventure di questi fuorilegge scalcagnati e adorabilmente simpatici. Ma, naturalmente, è agli accoliti di Firefly che Serenity “parla” davvero, raccogliendo tutti i temi e le ossessioni di Whedon (che, anche se non lavora per Hbo o Amc, è davvero un “autore”, con poetica ed estetica personali): una “famiglia” elettiva che sostituisce quella genetica, allacciandosi fortemente nell’affetto reciproco e nell’accettazione; un sentimento di giustizia da perseguire al di là delle etichette prestabilite (in Buffy erano i freaks, a salvare il mondo; qua sono i “fuorilegge”); un’ibridazione di generi, in questo caso la componente spaziale Sci Fi alla Star Trek contaminata con ambientazioni e stilemi western, una volta scesi a terra; figure femminili centrali e indimenticabili (non fatevi ingannare dal protagonista maschio, i personaggi che veramente “vedono”, “comprendono” e “salvano” la situazione sono donne, ognuna a proprio modo, e senza perdere le proprie individualità nei contorni del genere sessuale); una galleria di caratteri indimenticabili che nascono come stereotipi narrativi e funzionali e poi crescono, in poco tempo, trasformandosi in personalità ben definite; e, per concludere, un’indomita ironia di scrittura, tra battute fulminanti e dialoghi incalzanti. Serenity è una pellicola solida, dal ritmo serrato, ottimamente realizzata e interpretata, capace di riassumere i canoni del genere fantascientifico e dell’action movie. Ma, certo, non è un capolavoro. Non è Blade Runner, non è Matrix e nemmeno Star Wars. Le ragioni del suo successo – non un successo commerciale, anche se le considerevoli vendite in dvd ne hanno fatto un piccolo caso – sono indissolubilmente legate a quelle della serie da cui è tratta: sono passati nove anni dalla messa in onda della prima e unica stagione di Firefly, eppure i fan non demordono (qualcosa di simile è successo con altri prodotti Sci Fi, ad esempio Battlestar Galactica che vanta un seguito di irriducibili appassionati fin dalla serie classica anni ’70). Quello in cui eccelle Whedon (più o meno come una divinità, insomma) è l’arte della creazione di mondi. L’universo di Firefly è denso di dettagli, frutto di un’accurata costruzione futuribile che incastra la cultura occidentale con quella asiatica (i personaggi parlano un inglese lievemente dissimile dall’attuale, imprecano in cinese e scrivono mescolando l’alfabeto agli ideogrammi), e apre costantemente delle finestre sull’esterno, trascinandosi dietro un “fuoricampo” che si intuisce più sconfinato e definito di quello mostrato. Un universo all’interno del quale è facile abbandonarsi e che è difficile abbandonare. Se a guidarci è poi una crew di personaggi dei quali diventeremmo volentieri migliori amici, se il filo rosso è un inno alla libertà, all’indipendenza e al pensiero critico, bè, ecco spiegato il motivo di tanto folle e appassionato amore. D’altra parte, è la sigla stessa della serie Firefly a indicare la via: Take my love, take my land, take me where I cannot stand: I don’t care, I’m still free, you can’t take the sky from me. Il cielo di un’immaginazione infinita è inamovibile e tra le sue stelle, di tanto in tanto, gli universi paralleli sanno incontrarsi.
Serenity [id., USA 2005] REGIA Joss Whedon.
CAST Nathan Fillion, Gina Torres, Summer Glau, Adam Baldwin, Morena Baccarin.
SCENEGGIATURA Joss Whedon. FOTOGRAFIA Jack N. Green. MUSICHE David Newman.
Fantascienza, durata 119 minuti.