La gestione del potere
Se uno degli elementi più attrattivi delle prime due stagioni di House of Cards era la cinica e intricata scalata politica del protagonista, il terzo capitolo rischiava di essere leggermente sottotono: infatti, alla fine della seconda serie Frank Underwood è diventato Presidente degli Stati Uniti.
Dunque, nella terza stagione si poteva raccontare poco più dello svolgimento dell’incarico, un elemento in parte meno avvincente che poteva appiattire il prodotto. Un ostacolo che è stato però brillantemente superato. In primis, perché gli autori hanno gestito al meglio la questione del mantenimento del potere: Urderwood ha conquistato la presidenza a metà legislatura e le prossime elezioni sono vicine. Il protagonista dovrà così scontrarsi con un partito che non lo vuole confermare e, soprattutto, con un’avversaria che lo metterà in seria difficoltà alle primarie. E se il racconto politico è teso e incalzante, quello intimo sui personaggi e i loro rapporti risulta ulteriormente approfondito. Si pensi soprattutto alla crisi tra Frank e Claire, con il primo grato alla moglie ma al tempo stesso stanco delle sue richieste e con la seconda in bilico tra il legame al partner e il desiderio d’indipendenza. Ma House of Cards è anche un piccolo saggio sulla politica, sul suo funzionamento e sul suo modo di proporsi all’esterno. In questo senso, si può affermare, semplificando, che la prima stagione analizzava il rapporto tra politica e mass media, la seconda approfondiva la relazione tra governo e imprenditoria, mentre la terza si concentra inevitabilmente sull’amministrazione del potere. Quindi, che tipo di presidente è Underwood? Sicuramente cinico e spregiudicato, ma allo stesso tempo pragmatico e adattabile, capace di cambiare rapidamente strategia e fare concessioni dolorose (vedi il caso Petrov). Questo anche perché è un uomo quasi senza ideali, che considera il potere non un mezzo ma un fine, tanto che anche le riforme in cui (forse) crede – come l’American Works – hanno soprattutto funzioni tattiche ed elettorali. E il modello di presidenza che incarna è quello decisionista tipico dell’“uomo solo al comando”, che accetta di rado i consigli e ascolta poco i suoi collaboratori. Underwood è quindi un personaggio per il quale si prova un senso di attrazione-repulsione: la sua abilità ce lo fa ammirare, la sua spietatezza ci fa bramare per la sua sconfitta. Un sentimento ambiguo che forse è il risultato migliore dell’intera serie. Dunque, la terza stagione di House of Cards, al netto di alcune puntate minori, conferma le migliori caratteristiche narrative e analitiche delle stagioni precedenti. Ed è davvero un ottimo risultato.
House of Cards [id., USA 2015] IDEATORE Beau Willimon.
CAST Kevin Spacey, Robin Wright, Michael Kelly, Mahershala Ali, Molly Parker.
Drammatico/Politico, durata 50 minuti (episodio), stagioni 3.