Sguardi periferici
Presentato nel 2012 al Sundance, Simon Killer è il secondo lungometraggio del trentenne newyorchese Antonio Campos, dopo l’opera prima Afterschool del 2008. Nel mettere in scena la vicenda di Simon, giunto a Parigi dagli Stati Uniti per una “pausa di riflessione” post-laurea, Campos attinge deliberatamente dal proprio passato di americano in trasferta nella capitale francese, e al tempo stesso si rifà all’immaginario di una Parigi ombrosa e noir, prendendo inoltre spunto da fatti di cronaca nera per tessere la trama del racconto.
E su quella sensazione di straniero in terra straniera, di vulnerabilità e disorientamento in una realtà estranea, il regista costruisce la struttura portante della pellicola, facendola ruotare attorno alla figura di Simon e filtrando la realtà attraverso il suo punto di vista. Simon Killer è difatti un sguardo a senso unico sul suo protagonista in cui la vista viene immediatamente ed esplicitamente chiamata in causa: Simon nel primo dialogo e in più occasioni dice infatti di essersi laureato in neuroscienze con specializzazione nel rapporto tra occhi e cervello, portando una tesi sulla visione periferica. La vista è dunque l’occhio della camera con cui Campos pedina costantemente i suoi personaggi, come un voyeur li scruta in primi e primissimi piani dei volti e dei corpi. Ma è anche quella vista che ci viene negata attraverso un passato, quello di Simon, che non ci viene mostrato ma unicamente raccontato attraverso un ideale dialogo che il protagonista intrattiene tramite uno scambio di mail con Michelle, la ragazza con cui ha da poco chiuso un’importante relazione. Ed è questa visione proibita ad esaltare le zone d’ombra della personalità di Simon, quelle zone apparentemente periferiche, e ad insinuare il dubbio nello spettatore, creando una suspence dovuta al disvelamento dei risvolti più oscuri del suo animo e all’insorgere della psicosi. Tensione che, seppur in parte minata dalla prevedibilità, viene pienamente concretizzata dall’intensa e credibile interpretazione di Brady Corbet, che modella il ruolo su di un’evoluzione emotiva tangibile ed efficace. Ma se gode di successo la prova attoriale di Corbet, lo stesso non può dirsi in maniera convinta per la riuscita finale dell’opera, che pecca proprio nell’insistere in maniera reiterata e meccanica sugli quegli espedienti attraverso cui rendere la condizione di isolamento del protagonista. Così le scelte visive e l’uso del sonoro e delle musiche, altro elemento fondamentale nell’amplificare il processo interiore di Simon, risultano aspetti tanto affascinanti quanto sfruttati male da Campos, che ne esaurisce la forza e l’impatto registico in un compromettente manierismo che indebolisce man mano l’affascinante atmosfera generale. Simon Killer è dunque riuscito per metà, frammentato come il suo protagonista, alla ricerca di un impossibile equilibrio.
Simon Killer [id., USA 2012] REGIA Antonio Campos.
CAST Brady Corbet, Mati Diop, Nicolas Ronchi, Constance Rousseau, Lila Salet.
SCENEGGIATURA Antonio Campos, Brady Corbet, Mati Diop. FOTOGRAFIA Joe Anderson. MUSICHE Danny Bensi, Saunder Jurriaaans.
Drammatico, durata 101 minuti.