FilmForum 2015 – XXII International Film Studies Conference, 18-24 marzo 2015, Udine/Gorizia
Albert Serra, cavaliere della settima arte
Con solo un pugno di film alle spalle, lo spagnolo Albert Serra è diventato uno dei più celebrati tra quei pochi cineasti che credono ancora al cinema come arte. Durante questa edizione del FilmForum sono stati proiettate tre delle opere di Serra, Els noms de Crist, il corto Cuba Libre, ambientato in un cabaret degli anni Settanta a Kassel e dedicato al cantante e attore fassbinderiano Günther Kaufmann, e quell’Història de la meva mort che ha vinto il Festival di Locarno.
Serra ha poi incontrato il pubblico, sollecitato a parlare del suo cinema dalle domande di Vincenzo Estremo e Francesco Federici. Un cinema che si ispira spesso a fonti letterarie: prima di realizzare Història de la meva mort, Serra stava leggendo le memorie di Casanova, così, poiché gli avevano chiesto di fare un film su Dracula, ha deciso di far incontrare i due personaggi, con quel gusto dell’assurdo che ama molto e la fissità dei long take che caratterizzano il suo stile e lo accomunano ad altri punti di riferimento della cinefilia più oltranzista contemporanea, come il filippino Lav Diaz. “Contemplative cinema” o “slow cinema”, che dir si voglia, è un cinema che si interroga sull’esperienza del tempo e reinventa il pianosequenza come scelta registica ideale, per tradurre in immagini la durata, il flusso dell’esistente. In questo senso, girare in digitale assume un valore chiaro per registi come Serra: come, infatti, egli spiega, non ci sono più le continue interruzioni delle riprese in 35 mm, si può proseguire per ore senza fermarsi (per El cant dels ocells, Serra ha effettuato una ripresa di un’ora e quarantacinque minuti senza tagli). La realtà si offre allo sguardo dell’operatore senza aver bisogno di troppa luce. Non si deve essere necessariamente vicinissimi agli attori, ci si può muovere più facilmente, si pensa per scene, per concetti, non più per inquadrature. La grande dipendenza dai limiti della tecnica, secondo Serra, fa in modo che, nelle riprese in 35 mm, solo il dieci per cento del tempo sia dedicato alla creazione artistica. Il digitale, invece, permette ai registi più creativi di avere tutti i mezzi per creare senza difficoltà le immagini che desiderano e i film così realizzati, quindi, possono essere vere e proprie opere d’arte e gareggiare in intensità con le performance dell’arte contemporanea. Oltre alla letteratura, nei confronti della quale occorre avere una sorta di “amore senza rispetto” per fare buoni film, Serra dichiara di essere influenzato dall’avanguardia artistica del Novecento, in particolare per gli aspetti più giocosi del processo creativo, che però non dev’essere mai privo di tensione. Serra sostiene anche di essere decisamente più interessato agli aspetti visivi del cinema che a quelli narrativi e di procedere senza direzioni predefinite nella scrittura dei dialoghi. In fase di montaggio, egli giustappone le scene tra loro semplicemente scegliendo le riprese migliori, senza preoccuparsi troppo della relazione tra una scena e l’altra. Parte dagli attori per decidere di iniziare un film (così è stato per Honor de cavalleria), ma non dà loro molte indicazioni e non li ama affatto (sono persone spesso vanitose, dice, che ti danno nella vita privata solo momenti secondari rispetto a ciò che fanno, inconsapevolmente, recitando sul set). Ciò che conta per Serra è la sensibilità della mdp, la responsabilità del risultato, quindi, è tutta del regista. Astruc non è mai stato così vicino.