Ormai è passata qualche settimana e se ne è parlato anche molto, ma Milena Canonero, che si è aggiudicata l’Oscar con i costumi di Grand Budapest Hotel, meriterebbe di essere conosciuta più a fondo per la sua straordinaria capacità di vestire i personaggi del cinema, facendo di loro delle icone di stile senza tempo.
La costumista, nata a Torino nel ’52, ha saputo più di chiunque altro esportare a Hollywood il sapere sartoriale italiano rendendo celebre lo stile iperrealista e facendo dell’abito un elemento portante della scena. Con Kubrick, in Inghilterra, impara fin da giovanissima a dedicare la sua attenzione al dettaglio, a studiare con precisione ogni bottone, ogni cucitura, ogni stoffa. Impara lo spirito della perfezione e questo impegno ossessivo la ripaga presto. Il suo primo film come costumista è Arancia Meccanica (1971), dove mescola sapientemente l’ultramoderno con lo stile revival neobarocco inglese (detto edoardiano) e ottiene un risultato pop di grande impatto visivo. Poi con Kubrick si aggiudica l’Oscar per il film in costume Barry Lyndon (1975), dove – come faceva Piero Tosi con Visconti – si serve direttamente di abiti originali settecenteschi e li adatta alle necessità della macchina da presa. Una seconda statuetta se la aggiudica con Momenti di Gloria di Hudson nel 1981 e in quegli anni anche Coppola si lascia ammaliare dallo stile degli abiti della Canonero per Cotton Club (1984) dove ricostruisce l’abbigliamento tipico degli anni Venti degli abitanti di Harlem, per Tucker ? Un uomo e il suo sogno (1988) e per Il Padrino – Parte III (1990).
Con La mia Africa (1985) di Pollack elabora lo stile dei coloni europei in Kenya e contribuisce a costruire un mito nel personaggio interpretato da un’indimenticabile Meryl Streep. Sempre negli anni ’80 firma i costumi della serie televisiva più fashion della storia della televisione, Miami Vice, dove i colori pastello indossati dai due protagonisti influenzeranno l’intero universo della moda (nello stesso periodo la Canonero disegna anche una collezione di abiti maschili destinati al mercato e si aggiudica il premio Coty). Nel ’90 realizza il tripudio di colori nel film Dick Tracy di Warren Beatty e continua a lavorare infaticabile con registi come Stuart Cooper, Alan Parker, Norman Jewison, Louis Malle, Charles Shyer e Tony Scott.
Nel 2006 con Marie Antoinette della Coppola arriva la sua terza statuetta. Il film è la quintessenza dell’arte del vestire e la Canonero mescola, come mai era successo prima, lo sfarzo di Luigi XIV con gli elementi simbolo della cultura pop contemporanea (indimenticabili le Converse nascoste fra decine di scarpe d’epoca nel guardaroba di Maria Antonietta). Poi arriva Wes Anderson, e l’unione fra i due artisti è la perfezione. Con Le avventure acquatiche di Steve Zissou la Canonero manda in crisi i fan del regista che cercano dentro e fuori dal web di trovare il modo di entrare in possesso della divisa di Steve Zissou e del suo gruppo (le Adidas Zissou sono diventate un oggetto di culto). Oggetti (le valigie Louis Vuitton) e abiti (perlopiù magnifici completi Armani) in Il treno per il Darjeeling si adattano ed enfatizzano il perfezionismo maniacale del regista e infine l’apice del sodalizio Canonero-Anderson è raggiunto con l’ultimo lavoro, Grand Budapest Hotel, dove la costumista si ispira Gustav Klimt e alla figura di Peggy Guggenheim per vestire la vecchia miliardaria motore del racconto. Con e grazie al sodalizio con Wes Anderson, Milena Canonero può forse definirsi la più grande star del costume cinematografico di tutti i tempi.