SPECIALE PAUL THOMAS ANDERSON
Il senso ultimo delle cose
Vidi per la prima volta The Master al Festival del Cinema di Venezia: alla fine della proiezione compresi poco di ciò che avevo appena visto, le immagini filmate da Paul Thomas Anderson avevano una potenza magnetica che mi portai dietro a lungo, come la narrazione dal ritmo ipnotico e la sinuosa colonna sonora di Jonny Greenwood. Tutto questo di The Master mi avvolse, ma il senso rimaneva inafferrabile, quasi quanto la scia di una barca lungo il mare.
Riuscii a cogliere solo dei frammenti senza però trovare un trait d’union interpretativo che sciogliesse il mio cul de sac, ma a oggi, dopo averlo rivisto diverse volte, rimango ancora più convinto di come quelle prime sensazioni fossero esatte. The Master è quasi come una seduta d’ipnosi da coscienti, in cui il nostro analista è un uomo che, dall’alto delle sue convinzioni, ci ripete costantemente di non guardare il dito ma la luna, per scoprire solo successivamente che la luna non c’è, o che forse è solo una proiezione di ciò che vorremmo vedere. Sostanzialmente non siamo più in grado di distinguere l’immaginazione e la realtà dal nostro condizionamento. Come i seguaci della Causa, seguiamo le parole e i racconti del Master Lancaster Dodd, lezioni di vita che al primo sguardo sembrano inconcludenti ma in realtà vogliono celare un senso più grande; ma è vero? Per questo il nostro punto di vista spettatoriale non può che coincidere con quello di Freddie, un animale continuamente alla ricerca della perdita di coscienza attraverso intrugli alcolici: egli segue le parole del maestro-padrone tra divertito distacco e appassionata incoscienza, nell’attesa di una conclusione esplicativa o un appiglio significativo che dia un senso alla sua incondizionata fedeltà. Freddie vive nella costante di un’indecisione tra l’andarsene e il tornare, se rimanere nella cieca fedeltà o mettere in discussione l’ordine precostruito, perché in fondo, tra tutti, è l’unico a poter aspirare a una libertà esistenziale, e perché inconsapevole di quel che realmente essa sia. A differenza di tutti gli altri, Freddie non è schiavo della retorica sul vuoto o convinto dell’aspettativa sull’insignificabile che Lancaster offre, ma trova una figura che gli dona l’illusione di essere guidato attraverso insegnamenti, riceve una speranza di un senso. The Master non racconta solo di quell’America che, sorvolando il mare verso il nulla ma nel bel mezzo di una festa, ricerca sia guide che nemici da esaltare o combattere, come parti antagoniste interne alle stesse nevrosi, ma racconta di un sistema della ricezione umana che affannosamente si dibatte per giungere, trovare e pretendere un significato al tutto. Forse mai come il vuoto può esser in fondo pieno del tutto, perché nel vuoto si può ritrovare anche quello che non c’è, ed emulando – come allievi – questo nulla possiamo credere di riempire i nostri vuoti con delle convinzioni che non abbiamo (il dialogo tra Freddie e la donna del bar sul finale), ma in fondo rimarranno pur sempre delle mancanze, in cui solo i simulacri delle nostre necessità saranno in grado di anestetizzarci dalla vita, quasi come una donna di sabbia sul lungomare.
The Master [Id., USA 2012] REGIA Paul Thomas Anderson.
CAST Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Laura Dern.
SCENEGGIATURA Paul Thomas Anderson. FOTOGRAFIA Mihai Malaimare Jr. MUSICHE Jonny Greenwood.
Drammatico, durata 144 minuti.