Poesia per immagini
La vita di una famiglia scorre tranquilla nel deserto del Mali, alternando momenti di intimità genitoriale alla cura degli animali e dell’ambiente circostante. Quando jihadisti e imprevisti banali scuotono la quotidianità sonnolenta del deserto, la vita della piccola famiglia viene irreparabilmente segnata.
Errori piccoli e grandi vedono evolversi il concatenarsi di eventi da loro stessi provocato quasi rimanendo a guardare come degli spettatori. Immagini da cartolina, fotografia di altissimo livello, musica sempre consona e mai invasiva, spirito poetico posto in primo piano ma mai ostentato: questi sono gli elementi principali per cui Timbuktu è un film che si merita un posto in cima alla lista dei must see di quest’anno. Proiettato in concorso a Cannes 2014, il film è un’opera lineare ma non semplicistica. Le contraddizioni e le problematiche intestine di un movimento oppressivo vengono rese sullo schermo con un’immediatezza (estetica e dialogica) sorprendente, che non incrina mai la chiarezza espositiva del racconto che scorre. L’intreccio tra le vicende “piccole” – paradossalmente di importanza capitale rispetto al resto – e quelle di risonanza internazionale sfrutta le scenografie disponibili a proprio vantaggio. Attori e animali si muovono infatti nello spazio e sulle sue superfici quasi come su di un palcoscenico, giustapponendo performance impostate ad una naturalezza leggera. Solitamente, inoltre, impostazione e leggerezza vengono attribuiti agli interpreti in maniera proporzionale rispetto alla gravità dei personaggi interpretati, provocando uno spiazzamento nello spettatore giustificato dall’armonia del progetto. Sono le immagini a parlare, astenendosi da retorica e commenti che avrebbero inevitabilmente ricalcato i luoghi comuni, senza comunque rinunciare a presentare la crudezza dei fatti. Altro pregio di Timbuktu è infatti quello di mostrare varie sfaccettature di un mondo troppo spesso etichettato come unitario, quello dell’Africa musulmana. L’opera di Abderrahmane Sissako è dunque un’azione compositiva, un assemblaggio di elementi semplici per rendere giustizia a esistenze sottovalutate, ricche di una poesia oscurata da presunzioni di conoscenze, troppo spesso solo millantate. La resa visiva e concettuale riesce a giovarsi di un’encomiabile asciuttezza espositiva e al contempo di un afflato poetico che attraversa tutto il film, non lasciandosi sopraffare da inutili dialoghi e verbosità eccessiva. In altre parole, Timbuktu è un bel film, in tutte le accezioni che questo aggettivo può assumere. I difetti, quando presenti, sono visibili solo ad un occhio sterile il quale, con tutta probabilità, sta perdendo di vista il centro focale delle immagini.
Timbuktu [Id., Francia/Mauritania 2014] REGIA Abderrahmane Sissako.
CAST Ibrahim Ahmed, Abel Jafri, Toulau Yacoubi, Kettly Noël.
SCENEGGIATURA A. Sissako, Kessen Tall. FOTOGRAFIA Sofian El Fani. MUSICHE Amin Bouhafa.
Drammatico, durata 100 minuti.