SPECIALE JAZZ AL CINEMA
Storia di un immaginario
Paillettes e insegne luminose, così ci si immagina i roaring twenties, e invece Coppola esordisce con una bottiglia infrantasi sull’asfalto ricco di pozzanghere. Perché non esiste solo quell’immaginario come non esiste solo una finta rigida divisione tra bianchi e neri e come, allo stesso modo, non esiste divisione tra palco e platea.
Cotton Club è una pellicola che si apparenta a Un sogno lungo un giorno più della sua natura ibridata al musical, ma, seppur meno radicalmente, perché è un’opera che racconta di soglie mobili e permeabili tra vita e spettacolo. Così erano le quinte scenografiche del grande teatro creato da Coppola e la Zoetrope per Un sogno lungo un giorno: pareti mobili e semitrasparenti che fluidificavano il passaggio tra sogno e realtà, ma che diventano paragonabili teoricamente alle soglie che non delimitano il Cotton Club; lo spettacolo non si ferma al limitare di quel palco sopra il quale si esibiva Cab Calloway, ma si espande ai tavolini che tutt’attorno lo circondavano, tra Charlie Chaplin, Gloria Swanson, James Cagney. E non c’è da sorprendersi allora se troviamo anche Richard Gere e Diane Lane, che poco c’entrano con le celebrità di quell’epoca ma servono ad animare lo spettacolo filmico, perché in fondo la vicenda che vive in Cotton Club s’intreccia indissolubilmente con l’immaginario collettivo, animato da una platea che a tratti è anche più spettacolare del palco stesso. Sparatorie, amori impossibili e jazz quasi fossero singoli ingredienti da mescolare; ma più semplicemente gli uni portano appresso gli altri: ne è esempio il Dixie Dwiter di Richard Gere, diventato una star hollywoodiana interpretando la parte del gangster, ma che candidamente afferma di aver ripreso lo stile dell’Olandese, vero gangster cui casualmente era finito per fare il tirapiedi. Spettacolo e vita reale si confondono una volta di più, anche quando questo scambio non è richiesto. Dixie non ha aspirazioni a finire sul grande schermo ma piuttosto quella di suonare con i più grandi del jazz se non fosse per il colore della sua pelle. Una delle grandi contraddizioni del Cotton Club: i neri per lungo tempo esclusi dall’essere clienti del locale vi posso accedere solo per diventare star uniche sul palcoscenico, spazio sul quale invece è quasi del tutto precluso l’accesso ai bianchi. E tutto ciò quando tutt’attorno le pareti del locale stanno lì a ricordare l’umiliazione e la sofferenza che il popolo di colore ha dovuto sopportare, con raffigurazioni dei raccoglitori di cotone. Contraddizioni e assenza di reali soglie, su questo Coppola decide di raccontare un tempo che è un’immaginario nato prima di tutto dalla spettacolarizzazione di se stesso, tra vita in scena, faide di gangsters, intrighi amorosi e musica jazz, in cui tutto s’intreccia senza conoscerne i limiti. E dentro cui, del resto, perfino i passi di tip tap diventano linguaggio necessario per scandire il ritmo di una sparatoria.
Cotton Club [Id., USA 1984] REGIA Francis Ford Coppola.
CAST Richard Gere, Diane Lane, Bob Hoskins, James Remar.
SCENEGGIATURA Francis Ford Coppola, William Kennedy, Mario Puzo. FOTOGRAFIA Stephen Goldblatt. MUSICHE John Barry.
Drammatico/Musical, durata 124 minuti.