Fra qualche settimana – il 26 febbraio per l’esattezza – uscirà nelle sale italiane il bellissimo documentario di Ivan Gergolet Dancing With Maria, frutto della coraggiosa produzione di Igor Princic (Transmedia) già premiato con il successo di Zoran il mio nipote scemo di Matteo Oleotto.
La storia è quella di una delle maestre di danza più amate e conosciute del mondo, Maria Fux, inventrice della danzaterapia. Oggi Maria ha novantatre anni e insegna ancora a danzare nel suo studio di Buenos Aires; il suo insegnamento non passa attraverso l’ascolto della musica, però, ma attraverso l’ascolto del proprio corpo: il battito del cuore, il rumore del respiro.
Ivan Gergolet ci fa conoscere diversi personaggi che frequentano lo studio di Maria e i suoi seminari: Diana (che cammina con le stampelle da tutta la vita), Martina (che arriva dall’Italia), i due giovani ragazzi down Marcos e Macarena, Maria Garrido (l’india mapuche a cui Maria Fux ha insegnato a “camminare nel mondo”). E, soprattutto, ci fa conoscere Maria che è capace di trovare una forza misteriosa e intima in grado di farla ancora danzare nonostante i limiti della sua età. Nella “scuola” di Maria non si imparano le coreografie, si impara a “vedere” e a “toccare” la musica. Si danza per stare bene con il proprio corpo e con la propria anima. Gergolet sceglie di non percorrere la biografia della danzatrice, il suo lavoro è quanto di più lontano da un biopic. Il regista si interessa invece a quello che è Maria ora, al rapporto che instaura con i suoi allievi e con il loro corpo nello studio di danza che la ospita da una vita intera.
Il film è stato il primo documentario della storia nella sezione “La settimana della Critica” a Venezia 71 ed è stato accolto con ovazione e lunghi applausi alla fine della proiezione. Anche se in alcuni tratti forse ci si poteva aspettare un ritmo più musicale, più in sintonia con il personaggio vivace e colorato di Maria, la riflessione sul rapporto tra corpo e anima che emerge dalla ripresa attenta e delicata di Gergolet attrae con una sorta di magnetismo anche lo spettatore che limita alla nostra Carla Fracci e forse a Pina Bauch (grazie a Wenders) la sua conoscenza dell’arte della danza.