SPECIALE ATTORI DIETRO LA CINEPRESA
Un parto difficile
Nei primi anni Novanta la TriStar Pictures realizzò l’ambizioso progetto di riportare sul grande schermo alcune pietre miliari del cinema dell’orrore, avvalendosi del talento di quattro affermati registi. Dopo il successo di Dracula di Bram Stoker, la casa di produzione pensò per il secondo lungometraggio, dedicato questa volta al mostro di Frankenstein, di affidare l’opera a Francis Ford Coppola, già autore del primo film.
Coppola però declinò l’offerta, rimanendo nel progetto in veste di produttore, e lasciando così la regia allo “shakespeariano” Kenneth Branagh. Questo passaggio di consegne condurrà a una convivenza artistica alquanto problematica tra i due registi, anche se tuttavia il nuovo Frankenstein di Mary Shelley è da considerarsi fondamentalmente un film branaghiano nei suoi pregi, spesso sottaciuti dalla critica, e difetti, comunque preponderanti. Se confrontato con il primo tentativo, e forse unico pienamente riuscito, di rivisitare in chiave moderna quattro icone del cinema horror (gli altri due sono i modesti Wolf – La belva è fuori di Mike Nichols e Mary Reilly di Stephen Frears), emerge certamente la minor capacità di gestire il passaggio tra registri diversi, dal sublime romantico al gotico fino all’horror duro e puro, con quell’eleganza che contraddistingueva invece il film di Coppola. Frankenstein di Mary Shelley è di fatto un’opera che procede a sprazzi, coinvolgente in alcune sequenze di pregevole visionarietà (la scena della creazione del mostro ad esempio), ma eccessiva e magniloquente quando il titanismo del suo regista prende il sopravvento. Branagh riesce ad esprimere in poco più di due ore tutta l’ambivalenza insita nell’aggettivo “teatrale”: raggiunti picchi di grande forza melodrammatica, ricade spesso in un’enfasi sterile e nell’egocentrismo di chi si compiace troppo della sua “creazione”, bene incarnato dal dottor Victor che non a caso è impersonato dal regista stesso. Come Victor Frankenstein passa il limite imposto causando l’ira divina, il film trasborda eccedendo la misura, calca la mano attraverso la violenza esibita di alcune scene allentando così il filo dell’analisi psicologica, oppure si dilunga in parentesi narrative per il solo gusto di seguire qualche personaggio secondario. Tuttavia il film di Branagh sa, in fondo, coniugare due aspetti che ne fanno un’opera non eccellente ma in fondo apprezzabile, ponendosi in continuità con il film di Coppola: la capacità di far rivivere il testo letterario senza tradirlo, raccontandolo però attraverso la propria voce, con un linguaggio moderno e, perché no, prendendosi anche qualche rischio di troppo.
Frankenstein di Mary Shelley [Mary Shelley’s Frankenstein, USA/Gran Bretagna/Giappone 1994] REGIA Kenneth Branagh.
CAST Kenneth Branagh, Robert De Niro, Helena Bonham Carter, Aidan Quinn, Ian Holm.
SCENEGGIATURA Frank Darabont, Steph Lady. FOTOGRAFIA Roger Pratt. MUSICHE Patrick Doyle.
Drammatico/Horror, durata 123 minuti.