Equilibri instabili
Il genere survival horror è, nel suo nome, lapalissiano, meno scontato invece è il soggetto a cui è richiesto di sopravvivere, certamente il personaggio, ma in un secondo livello anche il giocatore. Perché in questo genere, il rapporto di compartecipazione emotiva tra personaggio e giocatore è indubbiamente maggiore, la paura e l’angoscia è da sempre uno dei punti cardine di questa esperienza videoludica, veicolato, in passato, attraverso un senso d’impotenza.
È proprio l’idea di sopravvivenza a essere mancata nel genere horror degli ultimi anni, buona giocabilità e tanta potenza tra le mani del giocatore ma poca precarietà. Per questo The Evil Within è stato lungamente atteso dai fan del genere, sperando soprattutto in Shinji Mikami, storico game designer (il padre di Resident Evil), per portare una ventata fresca nel genere. Ma nessuna sostanziale innovazione è presente in The Evil Within, TPS (Third Person Shooter) con un sistema di puntamento meno rigido e derivato da Resident Evil 4. Un game per definirsi compiuto deve principalmente avere tutti gli elementi in un sostanziale equilibrio. In atto pratico: la quantità di munizioni, il numero di nemici e la loro resistenza, le strategie pensate per superare i boss. Proprio sotto questo profilo The Evil Within è stato ripensato per ricalibrare, verso un coefficiente di difficoltà maggiore, il bilanciamento del survival horror in reazione a quello contemporaneo. Questo di fatto diventa la croce e la delizia del titolo, il “trial and error” è uno dei cardini del game, in cui durante alcune fasi il picco di difficoltà inaspettatamente si fa alto. L’ansia dello spreco di munizioni è il primo dei pensieri, non è impossibile trovarsi in alcuni casi privi di proiettili, per questo l’uso di strategie per massimizzare le uccisioni è consigliato nonostante non sempre funzioni (il cerino usato per bruciare più creature con il minimo spreco è il primo dei mezzi ma la sua efficacia è piuttosto randomica). E proprio questo è uno dei difetti che più si sentono in The Evil Within, esso consiglia di adottare strategie diversificate ma spesso la via più diretta rimane la più efficace. Equilibri instabili insomma, dentro un’esperienza che programmaticamente vuole essere horror attraverso un pastiche di atmosfere e ambientazioni che si succedono senza una logica consequenziale. Perché a reggere l’avvicendarsi degli eventi è la mente dell’assassino dentro cui il detective Castellanos e colleghi sono finiti, un continuo andirivieni tra il manicomio e sporche ambientazioni claustrofobiche. Ma è solo una superficie horror, come il marcio e la decomposizione delle texture che quasi interamente ricoprono i livelli. The Evil Within attraverso il ribilanciamento delle meccaniche regge bene come videogame ma meno come horror, e l’ansia cresce solo quando ad essere presenti sono situazioni del “fuggi e nascondi” di Amnesia. The Evil Within comunque si presenta in controtendenza nel suo genere, dove a esser presente è l’elemento survival ma, tutto sommato, poco horror.
The Evil Within [id., Giappone 2014]
SVILUPPATORE Tango Gameworks. DISTRIBUTORE Bethesda Softworks.
PIATTAFORME PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One.
Survival horror, durata 15 – 20 ore circa.