SPECIALE DAVID FINCHER
Rispecchiare il proprio tempo
Ex moglie di un ricco proprietario di una casa farmaceutica, Meg Altman si trasferisce con sua figlia in un grande appartamento di Manhattan, un’abitazione di tre piani, munita di ascensore, videocamere di sorveglianza e persino di una sorta di bunker dove ripararsi in caso di ladri e malintenzionati. Durante la prima notte passata in casa, arrivano tre uomini che intendono rubare milioni di dollari.
Così, alle due protagoniste non resta altro che rifugiarsi nella stanza di protezione. Il cinema statunitense ha spesso rispecchiato le paure degli americani di essere invasi e di veder trasformare i propri sicuri appartamenti in trappole dalle quali non si può scappare, si pensi a film come Gli occhi della notte, Ore disperate e all’omonimo remake di Cimino. Panic Room segue pienamente tale direzione, riflettendo sul panico diffuso nell’America post 11 settembre (l’opera è del 2002). Nel film non solo si concretizza il terrore di essere aggrediti da forze e persone sconosciute, ma si materializza anche la forte risposta a quelle paure, rappresentata dalla Panic Room; stanza che – insieme ad altri strumenti di sicurezza – la narrazione utilizzerà per esprimere la visione critica dell’autore verso le paranoie del periodo e le reazioni autolesioniste che ne conseguono, come il Patriot Act, che il regista sembra attaccare indirettamente. Infatti, i mezzi di prevenzione e sicurezza si riveleranno dannosi anche per le stesse protagoniste. Se la stanza-bunker, per quanto protettiva, viene più volte indicata come una claustrofobica trappola per topi, le telecamere di sorveglianza inizialmente risulteranno un buon mezzo di controllo, ma nel finale si ritorceranno contro la stessa Meg, che dovrà distruggerle una a una. L’autore non si limita, però, a riflettere sul clima politico e psicologico del momento, ma cerca inoltre di sottolineare il cambiamento cinematografico e tecnologico in atto: il passaggio dalla pellicola al digitale. Questo con una regia forzatamente acrobatica, che muove numerose volte la macchina da presa dentro e fuori l’abitazione, facendola entrare anche in spazi piccolissimi, come fessure e tubature. Tutte azioni impossibili senza il digitale e la computer grafica, mezzi che vengono palesati e sottolineati da Fincher per indicare la trasformazione tecnologica in corso; mutazione segnalata anche con l’occasionale alternanza tra riprese “tradizionali” e inquadrature delle telecamere di videosorveglianza. Tutto in un thriller teso, serrato e non privo d’ironia, che riesce a rispecchiare vari aspetti del proprio tempo senza rinunciare al senso dello spettacolo cinematografico.
Panic Room [id., USA 2002] REGIA David Fincher.
CAST Jodie Foster, Forest Whitaker, Kristen Stewart, Dwight Yoakam, Jared Leto.
SCENEGGIATURA David Koepp. FOTOGRAFIA Conrad W. Hall, Darius Khondji. MUSICHE Howard Shore.
Thriller, durata 107 minuti.