SPECIALE DEMENZIALITA’ U.S.A., II PARTE
Va un casino quest’anno!
Mettiamo subito in chiaro una cosa, Ben Stiller ha saputo e sa tuttora spiazzare lo spettatore principalmente per la sua carriera da regista. L’attore Stiller ripropone ormai da anni un cliché di un personaggio forte della tradizione ebraica dello schlemiel, sfortunato e in balia di situazioni surreali, mentre le sue regie hanno negli anni subìto un’evoluzione ben distinta.
Zoolander è forse il successo da regista di Stiller, diventato subito un cult anche in Italia, racchiude un po’ lo Stiller-pensiero, ma soprattutto è uno dei capostipiti della poetica del Frat Pack (clan di attori e registi che annovera al suo interno anche Jack Black e Wes Anderson). Demenziale, surreale, satirico, a tratti geniale ma più di tutto audace, se si pensa anche ai tanti camei sorretti da una regia ben controllata. Stiller ha ironizzato sì sul mondo della moda ma ha voluto anche lanciare una sfida allo showbiz in generale, senza moralismi e presunzione, schernendolo poiché conosce in prima persona la sua suscettibilità. Spesso preso poco sul serio e per fortuna invece riabilitato oggi, grazie soprattutto alle regie di Apatow, lo stile Frat Pack ha da sempre dialogato con l’attualità, offrendo al cinema commedie che, se analizzate a fondo, nascondono una vena di malinconia e di cinismo reale non da poco. Anche Zoolander riflette su temi “caldi” quali l’omosessualità, l’anoressia, le guerre fredde e la vanità del mondo della moda, ma lo fa cercando di far aprire gli occhi alla società, ipotizzando una critica che di sicuro ha offeso molti ma che è tristemente concreta. Non siamo qui ad elevare Zoolander a capolavoro della Settima Arte, ma si cerca di collocarlo, al di là dei gusti personali, all’interno di un manierismo intelligente a cui ci ha abituato certa commedia americana contemporanea. Stiller dimostra che l’industria americana dello spettacolo è finta e manovrabile, il successo ti può far schizzare in poco tempo per poi farti cadere nel dimenticatoio senza remore. È morto il divismo tradizionale, e nonostante Zoolander sia del 2001, anno in cui ancora i maggiori social network non “esistevano”, è un primordiale ragionamento sulla loro futilità. Apparire, essere sul cartellone più grande in bella mostra in strada, saper parlare di tutto e di niente, scoprire che alla fine basta rispolverare “la magnum” per salvare il proprio/nostro mondo. Zoolander è anche, e in seguito Tropic Thunder lo rimarcherà, la scusa per Stiller di ammettere che la sua missione sul pianeta cinema è divertirsi e divertire facendo anche riflettere, pizzicando il culo dei ben pensanti. Non una maschera mutante alla Jim Carrey a servizio del film di turno, ma un personaggio che fieramente rivendica la sua stupidità e che può salvare anche la sceneggiatura più idiota possibile.
Zoolander [Derek Zoolander, USA 2001] REGIA Ben Stiller.
CAST Ben Stiller, Owen Wilson, Will Ferrell, Milla Jovovich, David Duchovny, David Bowie.
SCENEGGIATURA Ben Stiller, John Hamburg, Drake Sather. FOTOGRAFIA Barry Peterson. MUSICHE David Arnold, Jay Gordon.
Commedia, durata 89 minuti.