Symphony of Destruction
Il cinema islandese già da un po’ desta interesse e curiosità a livello internazionale. È dall’inizio degli anni zero che tale cinematografia si affaccia alla ribalta dei grandi festival, raccogliendo non pochi premi e riconoscimenti grazie a film come 101 Reykjavík (2000), debutto del regista Baltasar Kormákur, Nói Albinói (2003) di Dagur Kári o il recente corto Whale Valley (2013) di Gudmundsson – Menzione Speciale a Cannes.
Ulteriore conferma di questa realtà in crescita è Metalhead che, presentato l’anno scorso a Toronto, ha giustamente posto l’attenzione su di un regista navigato, con otto film alle spalle ed un’evidente padronanza della messa in scena capace di dar vita ad un dramma intimo e credibile. In una fattoria della campagna islandese, la piccola Hera – per affrontare il dolore della perdita del fratello maggiore morto in un incidente – decide di assumerne l’identità e di vestirne letteralmente i panni. Indossata così la giacca di pelle nera e imbracciata la chitarra elettrica di Baldur, Hera cerca invano di lasciarsi la vecchia vita alle spalle, prima di rifugiarsi nell’heavy metal, in cerca di una risposta e della vera via di fuga. Se sin dal titolo Metalhead può far pensare ad un’ennesima variante sugli stereotipi del metal, in realtà siamo di fronte a tutt’altro. Certo non mancano le t-shirt di Metallica o Motörhead, sui muri campeggiano in bella vista le effigi di AC/DC, Led Zeppelin, Iron Maiden e ovviamente ad accompagnarci per tutta la pellicola sono le note pesanti che vanno dai Megadeth ai Judas Priest. Ma siamo ben lontani dai facili cliché. Merito dell’eleganza con cui Ragnar Bragason tratta la materia con passione e sincerità, affidandola ad una recitazione sentita e concreta degli interpreti ed incastrandola efficacemente tra i toni introspettivi di un’intensa drammaticità, creando così un profondo e riuscito equilibrio strutturale. Il risultato è dunque un’opera che pur non potendo certamente rivendicare l’originalità della tematica in sé, trova la sua peculiarità nel trattare un genere musicale in maniera del tutto differente da come spesso viene affrontato sullo schermo. La forza salvifica dell’arte indossa allora la maschera da metallaro, in particolare quella funerea del black metal che Hera si dipinge sul volto, decisa ad intraprendere una vera lotta contro la famiglia e la comunità tutta. Proprio nella rappresentazione di un’incomunicabilità emersa da una terra ostica e da una provincialità asfissiante risiede la vera identità della pellicola. Bragason arricchisce la vicenda di una connotazione storica e, con un punto di vista che va coraggiosamente oltre la condanna, scava in quel provocatorio movimento di ribellione musicale che agli inizi degli anni ’90 mise a ferro e fuoco i paesi del Nord. In esso Hera cerca la strada per elaborare il lutto e nella sua “sinfonia della (auto)distruzione” intravede la speranza che la propria voce, dopo aver tanto urlato, possa esser finalmente accolta ed ascoltata.
Metalhead [Málmhaus, Islanda 2013] REGIA Ragnar Bragason.
CAST Thora Bjorg Helga, Ingvar Eggert Sigurðsson, Þröstur Leó Gunnarsson, Halldóra Geirharðsdóttir.
SCENEGGIATURA Ragnar Bragason. FOTOGRAFIA August Jakobsson. MUSICHE Petur Thor Benediktsson.
Drammatico, durata 97 minuti.