SPECIALE DEMENZIALITÀ U.S.A.
Tra il prima e il poi
Prima della satira anticlericale (Dogma) e del porno pre-matrimoniale (Zack & Miri – Amore a… primo sesso), prima del dramedy Jersey Girl e dell’horror/thriller Red State, prima, nel lontano 1994, per Kevin Smith c’era soltanto Clerks.
Approdata al Sundance Film Festival nell’anno in cui Cannes scopriva Pulp Fiction, questa piccola pellicola indie ha riscosso un successo eccezionale, incurante della concorrenza in sala e di un rating proibitivo (R-restricted). Dopo, sarebbero arrivati Generazione X e In cerca di Amy, i cast stellari e i sequel demenziali (Clerks II, Jay & Silent Bob… Fermate Hollywood!), la serie animata e il relativo fumetto, ma è stato Clerks a catapultare Smith dal limbo anonimo degli esordienti all’empireo dorato degli autori di culto. Non male per un film costato appena 23 mila dollari. Nell’interstizio tra il prima e il dopo si trovano anche i personaggi in questione: l’ombroso Dante (Brian O’Halloran) e il fedele Randal (Jeff Anderson) commessi in un emporio del New Jersey. Trascinandosi in un giorno di ordinaria follia, tra amici strambi e clienti balzani, i due sperimentano quel tipico disagio che assale tra l’incudine e il martello, tra gli strascichi ormonali della post-adolescenza e i doveri incombenti dell’età adulta. Lavoro e liceo, dottorato e matrimonio, si sciolgono impietosi in cocktail micidiali, costringendoli a scelte impellenti previa sottrazione di lucidità. Responsabilità e ribellione convivono nel bianco e nero di un’estetica sporca – peraltro frutto dei pochi mezzi e non di precise scelte autoriali – mentre Jesus Lizard e Bad Religion, Alice in Chains e Soul Asylum si alternano nei fasti di una colonna sonora costata almeno quanto il film. Finanziato, secondo leggenda, con la vendita di una preziosa collezione di fumetti, Clerks eredita da questi più di una suggestione: le citazioni esplicite, l’uso ricorrente di didascalie e cartelli, nonché il taglio di certe inquadrature. Punti di vista stranianti o inusuali, profondità di campo e sguardi obliqui ottimizzano lo spazio ristretto degli interni, mentre l’esterno interviene saltuariamente in qualità di efficace contrappunto, perlopiù incentrato sui personaggi-culto Jay e Silent Bob. In questo senso, la sequenza della partita ad hockey e quella del funerale possono apparire come un’anomalia, ma se la prima, giocata sul tetto, è l’emblema della fuga dagli obblighi, la seconda non è che il simbolo di una severità convenzionale imposta dalla società, che trova i nostri evidentemente impreparati. Nella cornice di accenti grotteschi e di una demenzialità ancora contenuta, dialoghi e personaggi si rivelano particolarmente incisivi. Se la complessità dei clienti traspare appena dalla superficie delle loro manie caricaturali, i protagonisti vantano uno spessore insospettato. Il mite Dante, apparentemente più maturo e riflessivo, finisce col dimostrarsi il ritratto dell’uomo moderno, teso tra il rimpianto del passato e la presente insoddisfazione, tra un “prima” ideale e un “adesso” inappagante. Randal, al contrario, nasconde nell’irruenza infantile una saggezza spontanea, costringendo Dante ad assumersi la responsabilità della propria vita da “clerk”, in un mondo dove “Ci sono un mucchio di altri lavori anche pagati meglio”. L’ho già detto che era il lontano 1994?
Clerks – Commessi [Clerks, USA 1994] REGIA Kevin Smith.
CAST Brian O’Halloran, Jeff Anderson, Jason Mewes, Kevin Smith.
SCENEGGIATURA Kevin Smith. FOTOGRAFIA David Klein. MUSICHE AA. VV..
Commedia, durata 92 minuti.