32° Torino Film Festival, 21-29 novembre 2014, Torino
Al cuore del male
Con un montaggio da 200 minuti che si limita ad accostare gli episodi senza tagliare via nulla, la serie televisiva di Bruno Dumont ha girato le sezioni speciali dei festival internazionali, ricevendo pareri positivi a Cannes e a Toronto per poi approdare a Torino. Si tratta di un prodotto europeo e seriale, d’autore ma anche di genere.
In questo caso, il genere è quello comico investigativo alla Blake Edwards, ma con maggiori tinte macabre e più non sequitur spiazzanti. L’ispettore Van der Weyden, detto “The Fog”, indaga su una serie di omicidi apparentemente connessi tra loro che hanno luogo in un paesello situato sulla costa nord della Francia. I corpi delle vittime sono fatti a pezzi e stipati nei corpi dei bovini rubati, che cominciano ad apparire qua e là nei bunker risalenti alla seconda guerra mondiale e sulle spiagge ventose. La piccola comunità, che vive di agricoltura e allevamento, non s’impressiona e mostra, semmai, interesse per i fatti di sangue e per le telecamere dei TG che seguono il caso, tanto che il piccolo Quinquin, un ragazzino con le croste sulle ginocchia, s’immischia nell’indagine ottenendo più risultati dell’altero ispettore Van der Weyden. Su quest’ultimo personaggio c’è molto da dire, perché se è vero che ci farà sbellicare coi suoi tic nervosi esagerati e l’alterigia imbranata di un ispettore Clouseau, è anche vero che come braccio della legge è inutile, esaltato e crudelissimo. Dumont ci fa andare di traverso la risata in più di un’occasione, ma non diventa mai retorico e rimette a noi il compito di giudicare questa comunità di simpatici assassini e una polizia stramba e inadempiente. “Siamo al cuore del male” spiega Van der Weyden al suo braccio destro, un poliziotto laconico più interessato a performare stunt con la vettura della polizia che a cercare indizi. La sensazione dell’ispettore è confermata dai titoli degli episodi: “La bestia umana”, “Al cuore del male” e “Il diavolo in persona”. Un po’ drammatici e un po’ citazionisti, i titoli entrano in contrasto con l’anima comica della serie, ma non vanno presi troppo alla leggera perché P’tit Quinquin sottende un discorso importante sulla banalità del male e sull’ereditarietà dei conflitti. La parte umoristica crea un livello di lettura più accessibile ma non certo leggero o scanzonato, lo humour è nero e alle volte sottile, mentre altre volte è fisico e immediato. L’intera narrazione vive di momenti superflui (un bambino mascherato che porta lo scompiglio nella fattoria di Quinquin) o gag da cartone animato (in chiesa c’è un uomo col passamontagna nero cui nessuno fa caso). P’tit Quinquin è una serie ineffabile ed è difficile dire se questi inserti non-sequenziali siano semplici gag o esuberanze d’autore. Probabilmente un po’ di entrambe le cose.
P’tit Quinquin [Id., Francia 2014] REGIA Bruno Dumont.
CAST Alayne Delhaye, Lucy Caron, Bernard Pruvost, Philippe Jore, Philippe Peuvion, Lisa Hartmann.
SCENEGGIATURA Bruno Dumont. FOTOGRAFIA Guillaume Deffontaines. MONTAGGIO Bruno Dumont, Basile Belkhiri.
Giallo/Commedia, durata 200 minuti.