Paura e delirio tra le fogne di New York
Se si vuole parlare di The Strain credo sia necessario iniziare con il fascino suscitato dal suo primo episodio, anche se tutta la serie potrebbe passare come un “more of the same” del filone horror/catastrofico.
Un aereo compare senza che nessuno sappia il come e il perché all’aeroporto di New York, spento, buio e freddo, quasi come se dentro non ci fosse vita. E invece dentro la vita c’è e a scoprirla sono due epidemiologi, Eprhaim Goodweather e Nora Martinez. Quattro persone tra i corpi dei passeggeri sembrano rianimarsi all’improvviso, da lì in poi la situazione sarà uno sprofondare verso il caos. L’incipit non stupisce particolarmente, ma è lo sgravio di portare un racconto già rodato che permette a Guillermo del Toro, regista del pilot nonché autore assieme a Chuck Hogan del romanzo da cui è tratta la serie, di donare a tutta la produzione un’impronta visiva riconoscibile. Come le superfici di New York, costantemente illuminate da contrapposizioni di colore, verde, giallo, rosso, blu, viola… The Strain in alcuni frangenti notturni raggiunge una cromia talmente finta e rimaneggiata che quasi, paradossalmente, non si fa caso a quanto essa sia irreale. Ma è proprio questo il bello di una serie che mette insieme tanto materiale reggendone perfettamente il peso: un’epidemia in grado di trasformare le persone in asessuati mostri zombie-vampireschi, una faida aperta tra un vecchio deportato e un ex-SS nazista divenuto immortale dopo aver giurato fedeltà al Master (origine di tutti i mali) e un gruppo di loser, unici a immolarsi per fermare la piaga. La compagnia di emarginati raccoglie i già menzionati Eprhaim, ex alcolista e padre/marito assente, Nora, eterna assistente di Eprhaim non solo nel lavoro ma anche sentimentale, e il vecchio ebreo Abraham unico in grado di conoscere il vero pericolo della piaga. Ai quali occorre aggiungere il disinfestatore Vasiliy, un tipo un po’ troppo esaltato nello sterminare vampiri, la haker Dutch, causa del down delle comunicazioni che ha paralizzato la città e il giovane figlio di Eprhaim, uscito dalla sua custodia per vie legali e tornatoci attraverso la porta di servizio dell’apocalisse. The Strain è un prodotto che esalta chi ama il genere, semplice nel suo sviluppo (da un’iniziale diffidenza si passa alla totale dedizione alla causa anti-Krakoin) per invece volgere il suo sguardo all’espansione di situazioni tipiche dell’horror fantascientifico: la puntata dedicata all’assedio nel supermarket è una chicca tutta da gustare. Lo sviluppo tradizionale della vicenda si scontra con una confezione fotografica in alcuni casi barocca, e la necessità che asseconda i bisogni di un make-up mostruosamente gargantuesco, tipico di del Toro. Non tutto funziona perfettamente, spesso le linee narrative secondarie dei personaggi proseguono per le strade più prevedibili, ma in fondo poco importa dato che la serie ha il pregio di soddisfare i piaceri più immediati del pubblico di genere. In un qual modo The Strain può esser accostato a Pacific Rim, essendo entrambi dei prodotti per chi vuole veder rispettate le proprie aspettative. Ovvio nessuna sorpresa in fondo al tunnel e nessuna pretesa, ma a contare è che quel che vi si trova dentro, ed è fatto maledettamente bene.
The Strain [id., USA 2014] IDEATORI Guillermo del Toro, Chuck Hogan.
CAST Corey Stoll, Mìa Maestro, David Bradley, Kevin Durand, Richard Sammel.
Horror/Fantascienza, durata 45 minuti (episodio), stagioni 1.