Quel “gioco” che ti piaceva tanto sta tornando di moda
Ci sono prodotti che una volta tiravano e che ora non tirano più: è il segno ineluttabile dell’industria culturale, pace all’anima di chi – anacronisticamente – vorrebbe vedere sempre sulla cresta dell’onda realizzazioni che ripropongono meccaniche del passato.
Altre volte invece ci sono prodotti che una volta andavano e passato un periodo di purgatorio sono tornati alla ribalta, mantenendo inalterato lo spirito d’altri tempi. Divinity: Original Sin è solo uno dei tanti videogame che guardano con ammirazione a una generazione passata e che con coraggioso intento hanno quello di riportarla in auge. Prodotti nati al di fuori da produzioni “tripla A” ma che in casi specifici (come la serie Souls di From Software) sono diventati dei veri e propri fenomeni di massa. È innegabile che da qualche anno a questa parte sia iniziata una radicalizzazione sempre maggiore tra i due poli del pubblico, casuals e hardcore gamers, che però non ha prodotto uno sbilanciamento nel frazionamento del mercato, trovando invece per entrambi un’utenza abbastanza numerosa da alimentare le due diverse tipologie di games. Proprio il successo che ha baciato l’ultimo Divinity esclude un’assenza d’interesse a meccaniche non immediate o complesse, mostrando al contrario la faccia di un pubblico fin troppo spesso massificato dai grandi publisher, i quali sembrano preferire prodotti che mirano verso la semplificazione non solo delle meccaniche, ma del gioco stesso. Original Sin non si riduce a dialogare solo con i nostalgici: nonostante mantenga una forte predisposizione alla statistica e alla tabulazione, evita d’incancrenirsi troppo su una gestione del personaggio numerica trovando una via di mezzo nell’interfaccia, non semplice a prima vista ma lo stesso intuitiva. Complessa e profonda come allo stesso modo i combattimenti, il mai troppo amato sistema a turni ripropone un gameplay collaudato che è sia strategico che intuitivo (occhio però a non lanciarsi a capofitto negli scontri, perché il livello conta eccome). Detto ciò, quello che più piacevolmente colpisce in Divinity è la profondità narrativa, ponte tra generazione passata e contemporanea, tanto da essere in un certo senso l’elemento principe dell’intera produzione. La coppia di protagonisti creata non si limita ad esistere ma deve interagire: siamo artefici nella scelta delle risposte che i due, in particolar modo, si scambiano tra di loro nei dialoghi, interpretando sia l’uno che l’altro (se si gioca in single ovviamente) e divenendo allo stesso tempo due poli di pensiero che vanno a definire indirettamente il carattere – e quindi le statistiche – di ognuno dei due. La gestione stessa delle quest non prevede mai di dirigersi da un punto A a un punto B ma richiede un’indagine che passi attraverso gli altri PNG presenti sulla mappa, e in questo si predilige un approccio all’azione meno immediato, tanto da costringerci a riflettere su ciò che ci viene detto. Insomma Divinity: Original Sin rappresenta uno degli esempi di spicco di una convergenza tra passato e presente, perfettamente integrato nel contesto culturale dei games di oggi. È vero, non potrà parlare a tutti, ma di certo si avvicina ad una fetta di pubblico troppo spesso considerata muta.
Divinity: Original Sin [Belgio 2014] SVILUPPATORE Larian Studios.
DISTRIBUTORE Larian Studios. PIATTAFORME Pc.
Gioco di ruolo.