SPECIALE MARIO MARTONE
Eravamo tanti, eravamo insieme…
C’è una crepa profonda tra pensiero e azione. Spaccatura insopprimibile, in cui Mario Martone penetra con la sua rilettura del Risorgimento italiano e del nostro presente, alla ricerca di significati più che di connessioni causali.
Scegliendo una via minore, che passa sotto la pelle della Storia, quella alta, quella dei Mazzini e dei Crispi. Una via che corre parallela, che a volte interseca quella principale, e che, all’indomani dell’Unità, non può se non contemplare, annichilita, un’Italia “gretta, superba, assassina”. È la strada di Domenico (Luigi Lo Cascio) – personaggio chiave del dramma storico-politico ideato dal regista napoletano – il quale, insieme a Salvatore (Luigi Pisani) e Angelo (Valerio Binasco), nel 1828 si affilia alla Giovine Italia, quando la dura repressione borbonica ferma nel sangue l’insurrezione cilentana. Inizia così il viaggio della cospirazione per fare l’Italia, nella repubblica: dal Cilento a Torino, e poi Londra e Parigi, fino al ritorno, quando l’Italia è ormai fatta, ma nella monarchia. Viaggio che è dunque anche lo spegnersi di una passione: a riflettere il massacro delle guardie borboniche all’inizio del film, un altro eccidio, quello dei soldati piemontesi contro le camicie rosse e i briganti, ne segna la fine. Di lunga – dal 2003 al 2010 – e complessa gestazione – progettato inizialmente per la televisione, fu poi adattato al grande schermo –, Noi credevamo si ispira all’omonimo romanzo di Anna Banti, forte di una ricerca documentaria e iconografica predisposta in maniera estremamente accurata. Da un lato la collaborazione con Giancarlo De Cataldo, col quale il regista scrive il film e lavora alle distinte scansioni temporali; dall’altro, la consulenza di Ippolita di Majo, storica e critica dell’arte, coinvolta in un’imprescindibile ricerca iconografica e musicale. Articolata in quattro atti, la struttura del lavoro converge tutta su Domenico che funge da unico punto fermo in una trama continuamente scompaginata da ellissi temporali e spaziali. Lui, il solo a tenere il filo della speranza. Perché in fondo credere, lo dice Cristina di Belgioioso, è sperare. Anche se poi, da figura della speranza, Domenico muta in rabbiosa figura – più che mai attuale – del disinganno. In un Paese che non ha saputo far coesistere le opposte istanze della propria storia – il contadino e il signore, il Nord e il Sud – a spegnersi non sono tanto gli ideali in cui si credeva, quanto l’illusione di una loro condivisione collettiva. Tramontata la speranza nel “noi”, l’unità nazionale è guadagnata a un prezzo altissimo: lasciando opportunisticamente scivolare via – come l’olio rubato ai contadini – la parte migliore di sé, in quella profonda crepa tra pensiero e azione.
Noi credevamo [id., Italia/Francia, 2010] REGIA Mario Martone.
CAST Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Francesca Inaudi, Toni Servillo, Luca Barbareschi.
SCENEGGIATURA Mario Martone, Giancarlo De Cataldo. FOTOGRAFIA Renato Berta. MUSICHE Huber Westkemper.
Drammatico, durata 170 minuti.