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Enemy

mercoledì 15 Ottobre, 2014 | di Marcello Polizzi
Enemy
Inediti
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“Il caos è ordine non ancora decifrato”
«Sembrava un film di fantascienza, scritto, diretto e interpretato da cloni agli ordini di uno scienziato pazzo». Le parole di Josè Saramago riferite al suo romanzo L’uomo duplicato sono fin troppo chiare nel sottolineare la natura cinematografica dell’opera da cui liberamente è tratto Enemy di Denis Villeneuve.

Nel processo di adattamento dalle pagine alla messa in scena, questo stretto legame con la rappresentazione filmica si carica di un valore metacinematografico, che pur non costituendo l’essenza ultima della pellicola ne enfatizza i processi narrativi, arricchendoli con la forza della mediacritica_enemyvisione. Meccanismo questo tanto scontato quanto complesso, che il cineasta canadese riesce a far funzionare perfettamente, partendo da un solido ma intricato materiale di partenza: un giovane professore di storia s’imbatte casualmente in un film consigliatogli da un collega e tra le comparse che figurano nota un attore identico a lui. L’iniziale incredulità prende subito i tratti della paranoia che lo porta a contattare e ad avvicinare il suo sosia per scoprirne l’identità. L’inquietante incontro è un reale faccia a faccia con se stesso che scatenerà definitivamente l’ossessione, risucchiandolo in una nevrotica spirale di eventi inspiegabili e strane coincidenze che lo spingeranno sempre più a fondo in questo folle incubo. Così come in Strade perdute di Lynch anche in Enemy la porta per accedere all’impero della mente è dunque un’immagine registrata. È sempre una visione disturbante a condurci dentro il protagonista e come Cronenberg ci insegna, è sempre un’immagine virale a scatenare il contagio. Sulla lezione di due maestri, Villeneuve abilmente impernia questi momenti di metacinema, dalla riflessione sul grado di realtà delle immagini fino alla figura dell’attore come doppio e alter-ego. Se sosia e cloni però da sempre influenzano opere letterarie e cinematografiche, il fascino di Enemy non si misura quindi sull’originalità dei presupposti del soggetto, ma in base all’abile capacità di relazionarli alla funzionalità delle considerazioni appena esposte messe al servizio di una narrazione impeccabile e dal ritmo ammaliante, che accompagnata da ipnotici espedienti sonori e visivi racchiude tutta la tensione della pellicola. Al pari di Spider che costruiva ragnatele con lo spago, così la macchina da presa tesse la sua tela nel seguire il nostro Adam Bell perdersi nel labirinto in cui Villeneuve ci aveva già rinchiuso in Prisoners e dal quale sarà ancor più arduo uscirne. Ci attende forse lo stesso destino del Jack Torrance di Shining? Come il film di Kubrick anche Enemy – per dirla con Ghezzi – «tiene fede alla forma linguistica dell’inconscio» e solo seguendo tale linguaggio, come un filo d’Arianna, ci si può districare in questo dedalo d’apparenze. Ma dopotutto la chiave per decifrare il caos potrebbe essere già nella nostra tasca.

Enemy [Id., Canada/Spagna 2013] REGIA Denis Villeneuve.
CAST Jake Gyllenhaal, Mélanie Laurent, Sarah Gadon, Isabella Rossellini, Joshua Peace.
SCENEGGIATURA Javier Gullón. FOTOGRAFIA Nicolas Bolduc. MUSICHE Danny Bensi, Saunder Jurriaans.
Thriller, durata 90 minuti.

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