Gran Southern
Arriva nei nostri schermi, un anno dopo essere passato da Venezia, Joe di David Gordon Green, autore non particolarmente conosciuto in Italia, uno dei protagonisti più interessanti che il cinema indipendente statunitense ha sfornato negli ultimi 15 anni (senza dimenticare le sue incursioni più “commerciali” e dichiaratamente di genere nel “clan Apatow”, più o meno riuscite come Strafumati, e decisamente sbagliate come Lo Spaventapassere).
Joe è a prima vista il classico racconto d’ambientazione “Southern” ricorrente nelle narrazioni statunitensi, con annesse metafore sul mito della frontiera che è ormai pallido ricordo e vuoto simulacro, che nasconde un presente desolante e violenta. Joe è il nome di un solitario “avvelenatore d’alberi”, dedito all’alcol, perfettamente in sintonia con un ambiente che non sembra concedere molte possibilità di scelte diverse dalla noia, dalla miseria e dall’autodistruzione e intrappolato nelle ombre del suo passato. Qualcosa sembra cambiare quando incontra Gary, quindicenne al quale un padre infido, violento e ubriacone ha gravato le spalle di responsabilità e di consapevolezze da adulto: il rapporto tra i due segue i binari del classico schema di catarsi e di reciproco aiuto, con Joe che diventa un’inedita figura paterna e di riferimento. Green riprende così alcune delle sue tematiche preferite e ricorrenti, viste già nelle sue straordinarie opere d’esordio George Washington e Undertow (2004 e 2005, entrambi inediti in Italia): l’infanzia tradita e spaesata e messa alla prova da ostacoli importanti che obbligano ad una crescita precoce, così come l’assenza di una reale figura paterna e la più o meno inconscia ricerca di essa (tema che, più sottilmente, riecheggia anche in Prince Avalanche – altro film che da noi si è potuto vedere solo in qualche festival). Joe è, inoltre, sotto certi aspetti una versione “Southern” e rurale del mitico Walt Kowalski di Gran Torino (esplicitamente citato) con il quale condivide un percorso di presa di consapevolezza interiore, di messa in discussione di sé e di catarsi, fino al sacrificio finale che azzera tutto e permette alla figura più giovane di ricominciare.
Dopo una prima parte non priva di qualche lungaggine e non sempre fluida, il film esplode nella seconda metà, quando anche la materia narrativa e i rapporti tra i personaggi si fanno più caldi. Questa seconda metà è di una tensione e di una potenza notevoli, che permettono al film di elevarsi rispetto a molti altri dalle tematiche e dalle ambientazioni simili, permettendo, se non di evitarlo, perlomeno di aggirare lo stereotipo. David Gordon Green, d’altronde, è un regista decisamente più a suo agio quando può permettersi di aggredire la materia che lavora e i sentimenti che racconta, dando libero sfogo ad uno stile che nei momenti clou pare, pur rimanendo aderente alla concretezza del raccontato, quasi metafisico.
Joe [id., USA 2013] REGIA David Gordon Green.
CAST Nicholas Cage, Tye Sheridan, Ronnie Gene Blewins, Heather Kafka, Adriene Mishler.
SCENEGGIATURA Gary Hawkins (tratta dall’omonimo romanzo di Larry Brown). FOTOGRAFIA Tim Orr. MUSICHE David Wingo, Jeff McIlwain.
Drammatico, durata 117 minuti.